L’orientamento scolastico è diventato un tema centrale nell’agenda educativa italiana grazie alle Linee guida per l’orientamento, promosse dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Questa riforma mira a potenziare i servizi di orientamento nelle scuole, avviando un processo che si estende dalla scuola primaria fino alla secondaria di secondo grado.



L’obiettivo principale è fornire un supporto adeguato agli studenti nella scelta del loro percorso formativo e professionale. Attraverso programmi di orientamento, counseling e stage formativi, il ministero punta a ridurre l’incertezza dei ragazzi riguardo al futuro. Gli obiettivi dichiarati sono il miglioramento del tasso di occupazione giovanile (con particolare riguardo a certe filiere produttive ed economiche) e la prevenzione dell’abbandono scolastico.



Si tratta di una riforma che resta in capo ai docenti, i quali dopo aver svolto un corso online di 24 ore sono “abilitati” ad essere orientatori. Redigono infatti un progetto che deve contemplare un numero di ore pari a 30 con attività mattutine di vario tipo anche coinvolgendo altri enti, dialogando con i ragazzi e con le famiglie.

Cosa succede oggi

Premesso che vi sono esempi virtuosi ed efficaci, nel quotidiano tran-tran della scuola emergono certamente diversi aspetti critici.

Da una parte imporre il dialogo con ragazzi e famiglie per legge può avere dei cortocircuiti tipici della scuola italiana come, per esempio, il fatto che il docente abilitato all’orientamento non sia un docente della classe, non conosca minimamente i ragazzi e non abbia mai fatto lezione con loro, oppure il fatto che l’anno successivo sia trasferito in altra scuola senza creare un iter stabile.



Dall’altra le scuole sono subissate da iniziative di molte università o enti che propongono pacchetti di ore per presentare percorsi, attività e lezioni. Occasioni interessanti, ma difficili da scegliere e da svolgere, spesso senza una effettiva collaborazione tra istituzioni scolastiche e il mondo accademico e professionale. La scuola aderisce, ma non è soggetto attivo nel percorso. Il PNRR ha invaso di soldi tutte queste iniziative, ma rimane arduo comprendere le competenze richieste nel mercato del lavoro e come queste si traducano nei percorsi di studio.

Si consuma, cioè, lo strappo che si voleva colmare tra mondo della formazione e realtà lavorativa e lo studente corre in definitiva il rischio di essere ulteriormente disorientato con il bisogno di tornare ai soliti criteri: il sogno (farò il medico) e l’esigenza spicciola (l’azienda di famiglia ha bisogno di un laureato in economia). Chi ricucirà lo strappo?

Che la scuola resti scuola

Le originali guide per l’orientamento degli studenti sono sempre state le stesse materie scolastiche, ovvero l’insieme delle discipline che una comunità ha ritenuto elementi fondamentali per conoscere e modificare la realtà, per formare cittadini e adulti.

I docenti conoscono quelle e conoscono gli studenti ed è nell’ora di lezione che accade il miracolo della conoscenza, della scoperta delle cose quindi di sé! È qui che la loro esperienza e competenza possono svilupparsi e così trasmettere non solo conoscenze, ma anche tutte quelle competenze trasversali necessarie per il futuro. Magari certamente, lavorando in team, svolgendo attività di gruppo, innovando, ma coinvolti per quello che sono e per quello che sanno fare.

Di fronte a un docente, chiamato a fare a 360 gradi il proprio mestiere, gli studenti possono trovare davvero un punto di riferimento grazie al quale orientarsi, fanno tesoro di queste interazioni quotidiane, e sono proprio l’approccio didattico e le passioni suscitate nelle varie discipline a orientare le loro scelte professionali, piuttosto che programmi di orientamento esterni o calati dall’alto. Essenziale dunque formare docenti che insegnino quello che devono insegnare e che abbiano una vera passione educativa.

Non riempiamo troppo di cose e progetti la scuola, facciamola restare scuola: in questa cara esperienza che va avanti da millenni c’è già tutto.

Scopri chi sei

Gli antichi dicevano “conosci te stesso” perché questa riflessione permetteva l’inizio della saggezza. Vale anche oggi, dal momento che partendo da una profonda comprensione delle proprie passioni, valori e talenti possiamo fare poi scelte professionali autentiche e significative. La consapevolezza di chi siamo ci guida nella direzione giusta, chiamiamola pure carriera, permettendoci di trovare un lavoro che non sia solo una fonte di reddito, ma anche una realizzazione personale. Qui l’avventura diventa: come scoprire chi sono? Facile la risposta e travolgente: sentendo che qualcuno mi chiama.

Il nome che ci definisce anagraficamente non è stata una scelta perché sono i nostri genitori che ci hanno dato un nome, ci hanno chiamato e ci siamo scoperti avere quel nome. Da questo facile esempio, senza scomodare prospettive ben più profonde e fondanti, possiamo trarre un’indicazione molto interessante: ciascuno è se stesso e non un altro, perché è stato chiamato; all’origine di me c’è una chiamata. Diventa allora fondamentale per uno studente, ma vale ancora e sempre, guardare con cura l’esperienza, rimanere curioso dei suggerimenti che la realtà che vive gli dà e ascoltarla. Come affronto quel problema sulla circonferenza? Come sto davanti alla frustrazione di un voto non buono? Come scrivo quel tema su Verga? Mi piace stare alla scrivania? Lasciamo che le cose ci interroghino, mettiamoci in ascolto dei suggerimenti per individuare a cosa sono chiamato. Ci vuole tempo, impegno, qualcuno che mi aiuti a sentire il suggerimento, ma se salto tutto questo e vedessi anche tutte le università di Italia, i corsi di laurea, gli ITS, gli apprendistato, resterei disorientato.

Infine, se attività di orientamento devono esserci, siano sempre per favorire l’incontro con qualcuno più avanti in cui accada un racconto e uno scambio di esperienze.

La viva voce di un adulto che racconta di sé, della sua esperienza e della sua professione è altrettanto una potente chiamata.

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