Ancora una pioggia di fondi dal PNRR per contrastare l’evasione scolastica e la frequenza sporadica alle lezioni. La scuola dovrebbe recepire il grande disagio degli studenti e cercare di costruire una forma di corresponsabilità con le famiglie, con l’obiettivo di ridurre i divari territoriali negli apprendimenti e contrastare la dispersione scolastica. Come? Con la realizzazione dei soliti (inutili) interventi di tutoraggio e percorsi formativi per gli studenti a rischio di abbandono scolastico e di quelli che la scuola l’hanno già abbandonata. Per la modica cifra di 750 milioni di euro distribuiti alle scuole italiane. Di questi, il 40% è destinato alle Regioni del Sud, in base alla percentuale di studenti con lacune nelle competenze come documentato dall’INVALSI nell’ambito delle prove svolte l’anno scorso.



Per esempio, in una realtà relativamente piccola come la provincia di Salerno sono ben 177 le scuole cui sono stati assegnati questi fondi. Cifre enormi, che si aggiungono a quelle già erogate in tutti questi anni attraverso vari progetti tutti volti a contrastare la dispersione scolastica. La verità che nessuno vuole riconoscere è che tutti questi soldi sono stati “dispersi” senza che l’evasione scolastica sia diminuita, anzi, in alcuni casi, è addirittura aumentata. La risposta non è minimante adeguata alla domanda.



Eppure, c’è una grido inascoltato dei nostri giovani che nessuno riesce a prendere seriamente in considerazione. Lo diceva bene un ragazzo alla fine della visita a una mostra sul giudice Rosario Livatino a Salerno qualche tempo fa: “A scuola vengono sempre quelli del SerT a parlare delle sostanze e dei danni provocati, ma nessuno mai chiede loro perché lo fanno”. E proprio a Salerno (ma chissà in quante altre parti del Paese) la Pasquetta appena andata in archivio è stata l’anticipo delle serate e dei party estivi con sbronze soprattutto tra i giovani. L’assunzione di alcolici, spesso in mix con stupefacenti, ha segnato anche lo scorso Lunedì dell’Angelo in tutta la provincia di Salerno. Solo nel più grande ospedale della città, infatti, sono stati numerosi gli interventi per aiutare ragazzi – spesso molto giovani – in stato d’alterazione. Negli altri ospedali della provincia sono stati soccorsi giovani con effetti importanti scaturiti dal cosiddetto “giro” di birre e di vodka. Postumi aumentati anche dall’assunzione di sostanze stupefacenti, dalla classica “canna” al “pallino” di cocaina o alla “fumata” di crack. Quello che si registra è un’impennata dei disturbi d’ansia tra i giovani con un alto grado di irritabilità che è, secondo gli psichiatri, l’espressione primaria della tristezza. Ma che cosa cercano davvero i giovani?



È evidente che, come ha detto recentemente Franco Nembrini su Tv2000, “siamo una generazione di adulti che vive nella paura. Come si sconfigge? Iniziando a prendere i ragazzi sul serio, con coraggio. L’avventura educativa è un viaggio condiviso”.

Ed è veramente triste ed avvilente vedere come si affronta questa grande domanda che i giovani esprimono in tanti modi. La stessa cosa che un giovane fece notare a don Giussani tanti anni fa: “Ma la domanda che dovrebbe essere così tipica dei giovani è spesso sepolta sotto montagne di sassi”.

La risposta di don Giussani è sempre più sfidante per noi adulti: “Non saremo noi a levare i sassi. Deve accadere qualcosa, un terremoto: un dolore o una gioia grandi, un innamoramento. Come l’eruzione di un vulcano riemergerà il fondo della questione. Oppure può accadere un ‘incontro’. Questa è la strada maestra per ritrovare le domande che fanno l’uomo: imbattersi in persone in cui quelle domande sensibilmente determinino ricerca, aprano a una soluzione, provochino pena o gioia. Allora la montagna di sassi rotola via. E capita spessissimo che dei miei ragazzi mi riferiscano lo stupore dei coetanei per il loro modo d’essere: ‘Come fai a essere così? Tu sei diverso’. Il barometro segna la prima perturbazione nella loro atmosfera”. Ed un altro domanda a don Giussani: “Perché ho paura di crescere?” Risposta: “Perché non vedete gente cresciuta intorno. Occorrono un esempio e una compagnia che educhino il cuore. Se non si educa, il cuore si atrofizza”.

Possono tutti soldi del PNRR prendere sul serio questa domanda di significato che, a volte anche in forma drammatica, pur sepolta sotto una montagna di iniziative, riemerge come grido di aiuto “dentro”, ma sempre di più “fuori” dalle aule scolastiche?

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI