Il secondo anno consecutivo di scuola in epoca Covid ha messo ancora di più in risalto le necessità di ripensare l’organizzazione della scuola in modo strutturale, in modo da coinvolgere direttamente le funzioni e il ruolo del personale docente. Si deve soprattutto a docenti molto impegnati e competenti se le scuole hanno potuto reggere l’impatto dei contagi sulla gestione delle supplenze, dei report e delle comunicazioni verso l’esterno: famiglie e amministrazioni periferiche. Si sono così formate sul campo delle nuove competenze assieme a quelle fondamentali già in possesso degli animatori digitali, dei collaboratori del dirigente scolastico e dei docenti esperti nell’organizzazione dei curricoli, che da tempo sostengono il buon andamento delle istituzioni scolastiche e in questo modo fanno sì che anche tutto il personale ne tragga beneficio, come a trarne beneficio sono gli studenti e anche le famiglie che possono contare su un posto sicuro dove lasciare i loro figli.
Il problema è che il ruolo svolto e le competenze possedute da questi docenti non vengono adeguatamente riconosciuti né a livello retributivo né come prestigio all’interno della scuola e neanche all’esterno di essa. I minimi incentivi economici a favore di insegnanti che svolgono questo lavoro supplementare non sono certo una motivazione tale da rendere appetibili incarichi che spesso pongono gli insegnanti nella condizione difficile di essere invisi a colleghi, che leggono questa disponibilità come un modo di acquisire prestigio all’interno della scuola.
Resterebbe quindi la motivazione del riconoscimento sociale o reputazionale, ma anche in questo caso, se un riconoscimento di questo tipo è dovuto alla bontà del lavoro svolto in classe, nel corso degli anni può anche questo non essere più accettabile, mentre le funzioni svolte a livello organizzativo, non essendo inquadrate in ruoli definiti a livello legislativo, restano quasi invisibili all’esterno e troppe volte sono viste come intralci al lavoro d’aula da parte dei colleghi.
Sintetizzando la letteratura sociologica in materia, un punto però deve essere chiaro: se un lavoro non ha retribuzione adeguata e neanche incentivi reputazionali rischia di essere condotto in modo approssimativo, senza raggiungere i risultati previsti, anche perché spesso nelle scuole questi ultimi, per quanto riguarda le funzioni organizzative e gestionali, non sono ben chiariti dall’inizio. In Italia come sappiamo non è prevista una carriera per i docenti e l’unicità della funzione docente è stabilita quasi come un dogma anche se tutti sanno che competenze e impegno tra i docenti, in tutti gli ambiti della professione, variano in misura enorme. Ma pensare di risolvere la questione della carriera dei docenti scolastici incentivando maggiormente solo alcune competenze e ruoli ha però alcuni rischi, soprattutto perché gli incentivi non sono neanche legati a delle valutazioni che spesso si rivelano di problematica formulazione. Per capire meglio la situazione ci aiutiamo con un parallelo col mondo dell’università.
Pensiamo a un ricercatore la cui carriera di fatto dipende esclusivamente dal numero e qualità delle pubblicazioni: sarà normale che si dedicherà completamente a questo compito e possa quindi trascurare altri doveri accademici come ad esempio preparare lezioni interessanti, valutare attentamente l’esito degli esami degli studenti o prendere tesisti e poco conta che alla fine del corso si raccolgano le risposte al questionario di valutazione dei corsi da parte degli studenti perché, anche se sono informazioni attendibili, hanno poco impatto o nullo sulla carriera dei docenti universitari. Invertendo i termini del parallelo, i docenti delle scuole che si impegnano in ruoli aggiuntivi all’insegnamento che non danno reali possibilità di carriera, spesso dopo qualche anno vi rinunciano, disperdendo così un patrimonio di competenze che ogni volta deve essere ricostruito influendo negativamente sull’andamento della vita scolastica e aumentando la sfiducia nelle capacità delle scuole di adempiere alle loro funzioni.
Abbiamo quindi una situazione in cui lo sviluppo professionale diventa fluttuante e non rientra in una carriera che invece attualmente in Italia avviene per scatti automatici di stipendio, per cui il criterio di avanzamento è l’anzianità di servizio e nient’altro. È bene sapere però che sono allo studio o già implementati altri modelli di progressione di carriera previsti e descritti da diversi organismi internazionali come l’Unione Europea, l’Ocse e l’Unesco. Quest’ultima descrive tre modelli, di cui quello più interessante prevede delle specializzazioni con nuove funzioni e una specifica scala retributiva. Siamo quindi ben lontani dall’ermafroditismo istituzionale italiano composto da scatti automatici e miseri incentivi al limite del volontariato neanche la scuola fosse una Ong. Occorre giungere a una nuova visione della professione, dove una leadership sistemica possa raggiungere un migliore riconoscimento reputazionale, costituendosi a partire da percorsi professionali organizzati su diversi livelli di competenza e retributivi, sostenuta da uno stato giuridico che, con specifica legge, contempli nuove figure di insegnanti anche a contrasto della deprofessionalizzazione dei docenti.
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