L’Istituto superiore di sanità ha pubblicato il 21 agosto le “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2”. Una trentina di pagine abbastanza dettagliate che faranno da guida per i comportamenti in caso qualcuno manifesti sintomi riconducibili a Covid-19. Le indicazioni operative ricalcano quanto previsto dai protocolli firmati qualche settimana prima da governo e sindacati della scuola, quindi non ci sono sostanziali novità. A mio avviso le indicazioni scontano gli stessi limiti dei protocolli. In particolare due mancanze e due criticità. Vediamo quali.



La prima mancanza non vale solo per la scuola e deriva da una scelta generale del governo. Io credo che Immuni per certe categorie vada reso obbligatorio. Personale medico e scolastico, studenti, ma in generale chiunque abbia costante contatto con il pubblico (anche nel privato) sono tra queste. Ci sarebbe il problema degli studenti più piccoli (e tutti quelli che non hanno un cellulare), ma se ci fosse la volontà di lavorare in quella direzione le soluzioni tecniche adeguate esistono. E se non fosse possibile implementarle, Immuni sarebbe comunque attiva per gli studenti più grandi e la maggior parte dei soggetti coinvolti (non poter tracciare tutti non è un buon motivo per non tracciare nessuno). Sempre in subordine, qualora l’obbligo non fosse possibile per ragioni connesse per esempio alla privacy, mi sarei aspettato almeno una campagna di sensibilizzazione a tappeto.



La seconda cosa che manca riguarda il ministero della Salute. Solo fino alla fine dell’emergenza il vaccino antinfluenzale secondo me andrebbe inserito nell’elenco dei vaccini obbligatori per frequentare le scuole e per tutto il personale. Perché? Perché i sintomi influenzali possono innestare la procedura Covid e quindi intasare inutilmente il sistema, che rischia di non reggere portando a chiusure inutili di scuole e quindi a ledere il diritto all’istruzione di tutti. Anche in questo caso, se l’obbligo sembra una soluzione troppo draconiana, si faccia almeno una massiccia campagna informativa. Quando ci sarà un vaccino Covid sicuro e in dosi sufficienti si valuterà (a seconda della gravità della situazione in essere) se rendere obbligatorio anche quello (o solo quello).



Veniamo così alle due criticità, che sono: il fatto che la febbre venga misurata a casa, non a scuola e il fatto che siano le famiglie a dover attivare il protocollo, contattando il pediatra, qualora il bambino abbia dei sintomi.

Questo approccio comporta due ordini di problemi: 1) non tutte le famiglie sono così responsabili (se il bambino ha la febbre a chi lo lasciamo? se avviso il pediatra poi fanno il tampone anche a noi, e se poi siamo positivi?); 2) non tutte le famiglie hanno gli stessi strumenti – culturali, linguistici, economici – per gestire in modo corretto l’interlocuzione con il Servizio sanitario nazionale. Corollario, ma gli esempi possono essere molti: è previsto che un cittadino irregolare possa fare il tampone o rischia di essere espulso? E se non rischia, lo sa?

Un elemento che agevolerebbe in ogni caso tutto il processo è la garanzia di una corsia privilegiata per i tamponi qualora la procedura venga attivata per uno studente o per il personale scolastico. Su questo c’è stata una presa di posizione molto netta della ministra Bonetti, spero le venga dato ascolto. La corsia privilegiata è da farsi chiunque abbia il compito di attivare la procedura (famiglia o – come propongo – scuola), ma va da sé che metterlo in capo alle scuole porterebbe vantaggi anche per la gestione dell’interlocuzione con il Ssn, nonché per il coordinamento nella gestione dei focolai.

Perché si è scelto di lasciare questi due passaggi fondamentali in capo alle famiglie? Non lo so, ma a parte una diversa valutazione delle difficoltà (non è escluso che io ne stia sottovalutando alcune, facendo questa proposta) vedo anche due motivi meno “nobili”; uno “sociologico” e uno “politico”.

Quello sociologico è forse atavico, ormai. Chi si occupa di scuola a tutti i livelli (decisori, sindacati, commentatori) tende ad identificare tutta la scuola con quella che hanno frequentato loro: quasi sempre un liceo, di solito classico, spesso di una città, per lo più frequentato da famiglie del ceto medio, se non benestanti, e di buona cultura. Chi ha scritto le indicazioni evidentemente pensa che basterà dire alle famiglie di provare la febbre al pargolo e di chiamare il pediatra perché lo facciano. E se poi non lo fanno? Che si arrangino! E magari qualche editorialista o leone da tastiera o politico senza scrupoli avrà anche il coraggio di dire che se la sono cercata.

Quello politico attiene ai rapporti con i sindacati. In particolare alla difficoltà – questa sì endemica, purtroppo – a cercare (e quindi trovare) mediazioni al rialzo. Per responsabilità, sia chiaro, di tutti i soggetti coinvolti (amministrazione, politica e sindacati). In questo caso il mio sospetto è che a far pendere la bilancia sul lato della scelta di demandare alle famiglie abbia avuto un peso significativo voler evitare una snervante trattativa. Magari sul mansionario degli Ata (che non prevede ovviamente la misurazione della febbre), oppure sulle responsabilità nel contenimento del contagio (chiamo io o chiami tu? e se chiamo, poi rischio qualcosa?), o – perché no – sul contratto (il tempo per misurare la febbre come lo recupero? è quello per telefonare alla Asl?). Per non parlare delle prevedibili polemiche tipo “siamo al solito scaricabarile”, “la ministra ci odia”, o simili: consueto prezzemolo del dibattito pubblico, non solo sui social. 

Non dico che accentrare sulla scuola questi due passaggi non comporti problemi e adattamenti, ma visti i rischi di far fare alle famiglie e considerato che i più penalizzati sarebbero come al solito i ragazzi più deboli, credo sia uno sforzo necessario. La presa in carico è opportuno che sia pubblica per garantire che nessuno venga abbandonato a se stesso, la salute di tutta la comunità, il diritto all’istruzione.

Siamo al paradosso: il governo più centralista e ostile alla sussidiarietà che abbia mai governato il paese, proprio su questo punto scarica sulle famiglie e abdica al proprio ruolo.