Stiamo uscendo da una situazione di emergenza, non solo sanitaria, durante la quale gli slogan e gli hashtag comunicati ripetutamente dai media e dalle istituzioni – “siamo sulla stessa barca”, “nessuno rimarrà indietro”, “aiuteremo tutti”, “insieme ce la faremo”, “andrà tutto bene” – cercavano, giustamente, di infondere fiducia e speranza.
A mano a mano che venivano pubblicati i decreti recanti indicazioni operative e interventi economici utili a sostenere le difficoltà in cui si sono trovati tutti i settori produttivi del nostro paese, “tutti, insieme, nessuno”, gradualmente gli aiuti si sono sfuocati tanto da farci pensare, dopo un iniziale “e noi?”, che per istituzioni e Governo il nostro settore non esistesse. C’è stato posto solo per qualche intervento correttivo, arrivato dietro lamentele e pressioni, come ad esempio lo stanziamento di 2 milioni anche per gli studenti delle paritarie da utilizzare per l’acquisto degli strumenti digitali utili per le lezioni a distanza e poco più.
Qualcuno ha cominciato a pensar male: sta a vedere che ai componenti del Governo, ideologicamente contrari alla scuola paritaria al punto da auspicarne apertamente la chiusura, si offre una possibilità straordinaria – le grandi difficoltà di questa emergenza coronavirus – per raggiungere il loro obiettivo senza azioni politiche eclatanti. Una situazione in cui “basta non far niente”, come preconizzato, mesi fa, da Pierluigi Castagneto.
Nel susseguirsi di decreti con numerosi interventi, alle nostre scuole vengono chiesti tutti i doveri per l’emergenza, come è giusto, compresa la chiusura delle scuole per l’attività didattica. Una chiusura che ha messo in crisi, in modo particolare, asili nido e scuole dell’infanzia poiché praticamente impossibilitati a svolgere un’adeguata didattica a distanza, con conseguenti richieste di rimborsi da parte di molte famiglie per il servizio non prestato.
Dal punto di vista del sostegno economico è arrivato pochissimo, se non il Fis (Fondo di integrazione salariale) per il quale non ci sono ancora segnali concreti di inizio erogazione.
Il Cura Italia di marzo praticamente non ha stanziato nulla e tutti gli emendamenti presentati, anche da esponenti della maggioranza, sono stati cancellati in un soffio, ufficialmente per scarse risorse da distribuire, rimandando il tutto al decreto successivo di aprile, diventato poi, come sappiamo, Decreto Rilancio con 55 miliardi da distribuire.
Risultato: briciole! Unico intervento, un ridotto stanziamento di 65 milioni per le scuole dell’infanzia. Questo ha sopito le speranze e ha fatto scattare la reazione delle associazioni, che non si sono più limitate a comunicati stampa di forte protesta, ma hanno trovato pieno appoggio concreto nella Chiesa e attuato un gesto di protesta sotto il giusto slogan “#noi siamo invisibili”.
L’azione ha portato un risultato concreto: l’intervento finanziario, già aumentato a 80 milioni, è stato quasi raddoppiato a 180 milioni, comunque sempre più che insufficiente rispetto all’aiuto economico necessario per la sopravvivenza del settore. Sicuramente una vittoria: ma senza un seguito, rischia di diventare una vittoria di Pirro, perché le paritarie non hanno ottenuto le risorse necessarie ad affrontare i problemi che incombono in prospettiva.
Credo sia difficile ottenere di più nell’immediato. Chi mastica politica sa che a risorse stanziate, approvate e pubblicate, fare modifiche per ricavare un aumento di un capitolo di spesa è uno “sport” difficilissimo e porta a risultati minimi.
Ritengo, come illustrerò, che necessiti un intervento legislativo ad hoc, oltretutto rapido, per ridare speranza poiché, già in queste settimane, ci sono scuole che, persa la speranza, hanno già comunicato la loro decisione di chiusura.
Ritengo utile una premessa per capire la “filosofia” della mia proposta, che punta ad ottenere un rapido e adeguato intervento da parte del Governo.
L’ordine di studi dove ritengo possa esserci maggiore sensibilità istituzionale è il settore 0–6 anni ed è a questo settore che, prioritariamente, mi riferirò.
La motivazione è oggettiva: la chiusura delle scuole paritarie di questo settore creerebbe a settembre lo scoppio di una vera bomba sociale. In conseguenza alla loro chiusura molti genitori finiranno per non poter riprendere regolarmente il lavoro, per mancanza di strutture educative cui affidare i propri figli.
Va ricordato, come citava la Relazione illustrativa del decreto 65/2017, che il 94% dei bambini frequenta il servizio per l’infanzia, ma solo il 63% nelle scuole dell’infanzia statali; conseguentemente, se le scuole paritarie chiudono, lo Stato non avrebbe neanche le strutture per ricevere i bambini rimasti a casa.
La richiesta di intervento, pertanto, non è solo per salvare le scuole in difficoltà, ma soprattutto perché è un dovere civico e sociale garantire ai genitori il servizio di cui hanno diritto e il non farlo metterebbe a rischio anche i flussi di lavoro necessari alla ripresa produttiva di cui ha bisogno il Paese.
Nell’immediato le scuole del settore possono anche sopravvivere. Ma le previsioni di settembre per questo settore sono difficili: sia per le difficoltà economiche di molte famiglie, che si vedranno ridotte nella loro possibilità di pagare una retta, sia per la paura di contagio, che comincia a spingere i genitori a preferire, appena possono, la ricerca di situazioni alternative alla scuola e a tenere i bambini a casa, sia per le nuove regole legate alla sicurezza sanitaria, che oltre a comportare costi maggiori di ristrutturazione porterà minori ricavi per il richiesto distanziamento fisico che ridurrà il numero massimo di bambini per ogni sezione.
Da queste considerazioni rimane evidente che il mantenimento del servizio comporterà uno stanziamento economico di notevole consistenza, comunque inferiore a quello che lo Stato dovrebbe stanziare per risolvere in proprio i problemi del servizio non più offerto dalle scuole dell’infanzia paritarie, oltre all’impossibilità pratica di coprirlo nei tre mesi che mancano alla riapertura di settembre.
Da qui la mia proposta, pragmatica, che non vuol dire dimenticare i valori di libertà che le nostre scuole hanno perseguito e sempre perseguiranno, ma aiutare i decisori a mettere da parte l’ideologia e decidere secondo criteri sociali ed economici oggettivi, come hanno fatto, negli anni, molti amministratori locali oculati e attenti all’interesse dei cittadini da loro amministrati.
Si attivi subito un’analisi economica fatta da un gruppo di tecnici in collaborazione con le scuole paritarie che:
– attivi un monitoraggio utile a definire l’entità delle scuole in difficoltà e il numero di bambini ad esse iscritti,
– valuti il servizio che verrebbe a mancare per la chiusura delle scuole in difficoltà,
– calcoli l’aumento di strutture e l’incremento di educatori necessario per le nuove regole del distanziamento,
– determini quanti esuberi avrà la scuola statale per le nuove regole di distanziamento.
Da questa analisi economica si fisserà l’entità delle risorse necessarie da stanziare per mantenere l’attuale livello di servizio al citato 94% di cittadini che oggi ne usufruiscono.
La politica ha davanti, tra le altre, una sfida e un’importante decisione: rischiare, come ricordavo all’inizio, lo scoppio di una bomba sociale, con tutti i conseguenti risvolti politici, o investire tutto quanto serve a permettere alle scuole paritarie di proseguire la loro attività offrendo il doveroso servizio ai genitori, affinché “nessuno rimanga indietro” e non si corrano rischi di rallentamento nella ripresa economica del nostro Paese.
Confido nei politici e nel Governo, cui lascio l’attesa decisione.