Nel corso della campagna elettorale, la scuola sembra ricevere molte attenzioni. Si assiste infatti a un profluvio di promesse rutilanti: immissione in ruolo dei precari con sanatorie, aumento degli stipendi per tutti gli insegnanti (senza alcuna distinzione di merito), estensione dell’obbligo scolastico dai 3 fino ai 18 anni, nuovi investimenti nell’edilizia scolastica, maggiori finanziamenti in generale, ecc.



A ben vedere, molte delle proposte appartengono a una dimensione sensazionalistica, da luna park, del tutto inadatta a costituire le fondamenta di un serio programma riformistico, quindi, nonostante la centralità che la scuola parrebbe avere acquisito nell’agenda setting, coloro che vi lavorano sono piuttosto diffidenti o affatto estranei a un dibattito che pare avere una natura propagandistica.



A breve le scuole riapriranno e immediatamente si imbatteranno in alcune difficoltà. Ponendo da parte la questione legata alla pandemia e assumendo uno sguardo ottimistico, coerente con gli attuali trend epidemiologici, i dirigenti scolastici si troveranno ad affrontare i problemi inveterati che ormai azzoppano da tempo la scuola italiana. Constateranno, anzitutto, la mancanza di docenti. Molte cattedre risulteranno vacanti, particolarmente quelle degli insegnamenti scientifici e tecnologici, così si dovrà attendere la pubblicazione delle graduatorie provinciali delle supplenze (le cosiddette Gps) e la successiva nomina da parte degli uffici territoriali cioè degli ex provveditorati. La procedura può essere più o meno veloce coerentemente con l’efficienza di questi ultimi (che non sempre è esemplare), ma è la tempistica di per sé inadeguata, perché il conferimento delle supplenze non può avvenire quando l’avvio dell’anno scolastico è imminente o è già iniziato da qualche tempo. L’esperienza pregressa ci insegna che possono intercorrere anche alcuni mesi, prima che gli alunni dispongano di docenti stabili. L’insieme delle norme che regolano gli incarichi di supplenza, dunque, comporta effetti controproducenti. Le graduatorie non funzionano. È possibile avviare un cambiamento?



Molti risponderanno negativamente perché l’alternativa, cioè affidare alle scuole la scelta dei supplenti, secondo loro comporterebbe promuovere metodi clientelari. Così come nella campagna elettorale la paura dell’avversario, di ciò che quest’ultimo potrebbe fare in tema di diritti, libertà, economia, ecc. pare essere il principale argomento di dibattito, analogamente nella scuola si paventa che le possibili riforme azionino meccanismi peggiori di quelli attuali. Inutile osservare che esistono comitati di valutazione i quali, unitamente alla verifica dell’anno di prova per i docenti neo-immessi in ruolo, potrebbero anche gestire la scelta dei supplenti in maniera del tutto trasparente.

Ovviamente se ciò accadesse, nella logica democratica dei contrappesi, il sistema educativo dovrebbe cominciare a valutare il rendimento delle singole istituzioni scolastiche e così verificare se una tale scelta sia stata ponderata oppure no, ma i sindacati si oppongono a questo tipo di valutazione. Si preferisce non conoscere il funzionamento delle scuole, cosicché neppure possano essere avanzate prospettive di cambiamento basate sui dati. In sostanza il timore di peggiorare lo statu quo sembra suggerire di mantenere inalterato l’intero sistema, quand’anche molte sue parti siano inceppate. Il rifiuto dei cambiamenti produce una pavida inerzia. Si ha così, come è stato scritto, un sistema ingessato, bloccato.

La riforma della normativa sui supplenti si irraggerebbe in altri ambiti, fino a toccare la questione della carriera dei docenti, attuata nella maggior parte dei paesi europei e occidentali. Anche in questo caso siamo di fronte ai tabù sindacali, che preferiscono un frustrante egualitarismo per i loro tesserati anziché ammettere una differenziazione dei percorsi professionali. I sindacati non si curano del fatto che oggi la progressione di carriera avvenga solamente per anzianità e che ciò sia avvilente e demotivante per quei docenti che alla scuola danno l’anima. Che senso ha cercare di migliorarsi professionalmente se gli scatti stipendiali seguono solo l’anzianità? Ovviamente la situazione attuale scontenta tutti, ma per i sindacati sarebbe peggio creare dei dislivelli di merito, anche se questi ultimi non sarebbero altro che espressione della realtà stessa.

Il raggio di quella prima riforma sugli incarichi di supplenza si illuminerebbe strategicamente verso il potenziamento dell’autonomia scolastica. Quest’ultima, infatti, rappresenta il tradimento più grave del sistema educativo attuale, che ne ha sistematicamente bloccato lo sviluppo con una governance che risale ai Decreti delegati del 1974.

In questo momento, i sindacati si schierano contro la Dad, come se essa fosse la causa principale del malfunzionamento delle scuole. Accogliendo un tale punto di vista, il ministero fa divieto alle scuole di porla in essere anche per gli studenti ammalati di Covid. Si temono, forse, i possibili danni educativi di una tale didattica. Così gli ammalati, nelle loro abitazioni, potranno dedicare le loro mattinate a insulsi programmi televisivi o, in assenza dei genitori, alla navigazione in siti web pericolosi. Ancora una volta ci si chiede dove stia la ragionevolezza.

Confidiamo nei futuri governanti, che forse avranno lo sguardo libero, capace di reggere le varie pressioni e tenere salda la direzione del cambiamento. La riforma della scuola non è solamente un problema di soldi, ma soprattutto di significati e prospettive ideali.

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