BUCAREST – Riprendere a insegnare dopo sei anni di pensionamento non è affatto uno scherzo, tanto più se ti trovi, con il ruolo di docente, in un paese straniero senza nemmeno conoscere la lingua.

Eppure è quello che sta capitando a me: anno scolastico 2021-22 dell’era Covid a Bucarest, Romania: un paese dove, al presente, solo il 40% della popolazione è vaccinata e dove è in corso una “fruttuosa” – per chi l’ha promossa – compravendita di green pass. Obiettivo? Poter accedere ovunque, spacciandosi naturalmente per soggetti vaccinati.



Ma torniamo al mio lavoro. Ho ripreso ad insegnare presso la scuola italiana “Aldo Moro”, che di recente ha cambiato sede migliorando di molto anche il suo look: gli istituti comprensivi statali, che in Italia sono generalmente anonimi e piuttosto malmessi, non tengono certo il confronto con questo imponente “castello” che tanto somiglia alla scuola di Harry Potter descritta dalla Rowling nella nota saga del maghetto.



Così a settembre, entrando nella classe assegnatami, mi sono trovata davanti tredici musetti di prima media ai quali mi tocca d’insegnare italiano. Preciso subito: si tratta di ragazzi figli perlopiù di matrimoni misti. Il babbo italiano, lavorando in Romania e avendo sposato una rumena, sceglie di trasferirsi a Bucarest con l’intera famiglia. Capita tuttavia, con sempre maggior frequenza, che ad iscriversi alla Aldo Moro siano anche alunni rumeni: nella mia prima, ad esempio, ce ne sono già tre. Così, in poco tempo – come sempre accade ai ragazzi – imparano l’italiano e impattano con entusiasmo, specie al liceo, il fascino impareggiabile della nostra letteratura: Dante, Manzoni, Leopardi diventano parte integrante della loro esperienza e del loro universo, consentendo a ciascuno di apprezzare, forse con ancora maggior gusto, poeti e prosatori della tradizione culturale rumena.



La scuola Aldo Moro è comunque all’avanguardia: il liceo linguistico quadriennale ha finalmente ottenuto quella parità che già da parecchio era stata richiesta. Non trascurabile il fatto che, della rete Liberi di educare – presente da tempo con numerose realtà nel nostro Paese – siamo noi, qui a Bucarest, l’unica scuola italiana paritaria all’estero; senza contare che, nell’area balcanica, oltre alla nostra, solo ad Atene esiste una scuola italiana, peraltro statale, e una a Mosca, paritaria.

I problemi naturalmente non mancano, primo fra tutti quello connesso alla pandemia. Lo scorso anno, racconta chi c’era, è stato veramente drammatico: scuola chiusa e didattica online. La strumentazione tecnologica obsoleta e la scarsa copertura di rete non hanno, ahimè, consentito una didattica degna di tale nome.

Anche adesso, però, quella che fino a qualche giorno fa era solo una minaccia si è concretizzata e il governo ha decretato, per gli studenti rumeni delle scuole statali, quindici giorni di vacanza a partire dal 26 ottobre; neppure la didattica online sarà pertanto consentita.

Se i ragazzi, com’è noto, rischiano raramente il contagio, spesso però finiscono in quarantena per via del contatto con persone adulte, in primis i genitori, che per buona parte scelgono ancora di non farsi vaccinare.

La dirigente della scuola italiana, in accordo con il gestore, ha provveduto fin dall’inizio dell’anno scolastico a ottenere la convenzione con una struttura ospedaliera: implementato il triage in uno degli spazi coperti antistanti la scuola, ogni mattina docenti e alunni passavano allo scanner per controllare la temperatura e subito dopo igienizzare le mani. Finora tale misura si era rivelata sufficiente tanto che, di fronte all’emergenza, era stata prevista l’attivazione di tamponi veloci, per tutelare al meglio l’utenza.

Il momento è molto delicato: il governo ha concesso alle scuole paritarie che ne hanno fatto richiesta di mantenere in presenza almeno le classi dell’infanzia e della primaria. La secondaria di primo e secondo grado dovrà attivare necessariamente la didattica a distanza.

Se ogni tentativo sembra a prima vista insormontabile, niente alla fine è da considerarsi impossibile.

Così, quando la mattina, almeno finché la stagione lo consente, mi avvio in scooter verso calea Doribanti, 39 – è questo l’indirizzo della “nostra” scuola, situata nel centro di Bucarest – ho la stessa sensazione di quando, sei anni orsono, mi dirigevo a Sesto, hinterland milanese, per raggiungere l’istituto comprensivo nel quale insegnavo.

E, a ben guardare, non c’è molta differenza: se la passione educativa che ti muove brucia ogni distanza, anche l’età in fondo, conta poco. Impossibile dimenticare l’irriducibile tenacia di chi, per anni, ha continuato a ripeterci che “la giovinezza è un atteggiamento del cuore”.

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