Il concetto di “programma ministeriale” dovrebbe essere ormai da anni sepolto e dimenticato, mentre invece ancora ingombra e opprime tanti docenti, con conseguenze che ben conosciamo: programmazioni settembrine ripresentate identiche di anno in anno, cambiando soltanto la data o inserendo soltanto i titoli dei capitoli del libro di testo; domande ansiose di fine quadrimestre (a che punto sei del libro?), oppure ancora corse e rincorse di fine anno per finire il cosiddetto programma.
Eppure, di per sé questo così ossessivo e ossessionante programma è stato cancellato molti anni fa (prima con il decreto legislativo 59 del 2004, poi con il Dpr 89 del 2009, infine ampliato per gli istituti superiori con ulteriori Regolamenti) e sostituito da indicazioni, in base alle quali i docenti possono costruire percorsi e personalizzare contenuti secondo le finalità educative e formative relative al proprio gruppo classe.
Questa premessa è necessaria per comprendere la problematica rispetto a una disciplina come la storia che, se ancora vincolata all’idea di programma, rischia di diventare sempre più ingestibile nella programmazione didattica, dal momento che i contenuti aumentano ovviamente di anno in anno. In particolare, il problema si pone al termine dell’istruzione secondaria di secondo grado, al quinto anno, durante il quale gli alunni devono affrontare lo studio del Novecento.
Ricordiamo che fu l’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer (1996) a stabilire che, nell’ultimo anno della scuola secondaria superiore, si insegnasse soltanto la storia del Novecento – scelta già praticata, in via sperimentale, dalle scuole che, a inizio anni Novanta, avevano adottato i programmi della Commissione Brocca.
Fu una decisione che sollevò accese polemiche culturali e politiche, ma, a distanza di tanti anni e passate le polemiche, forse possiamo ormai dire che, se anche non condividessimo lo spirito iniziale della riforma (“l’esigenza pedagogico-culturale di dedicare un più ampio spazio alla trattazione di avvenimenti recenti di notevole rilievo storico-politico”, come scriveva lo stesso ministro nella sua introduzione), sicuramente la mole attuale dei contenuti del quinto anno – ormai ben oltre la conclusione del cosiddetto “secolo breve” – renderebbe impraticabile qualsiasi altra opzione.
Infatti, se anni fa il problema di un docente era concludere “il programma” almeno con la Guerra fredda, adesso la meta finale è diventato almeno il crollo del Muro di Berlino o dell’Urss, mentre l’attentato alle Torri gemelle rimane qualcosa citato qua e là all’occorrenza – ed anche così facendo/riuscendo, restano esclusi i vent’anni successivi…
Insomma, la problematica c’è ed è importantissima, perché, dentro la scuola, niente come lo studio della storia può oggi educare i nostri ragazzi a una reale capacità critica, offrendo chiavi di lettura del presente, con le quali non essere ostaggi dei totalitarismi mediatici attuali.
Dentro la scuola, niente come lo studio della storia può sostenere i ragazzi nella maturazione di una propria visione del mondo, fuori da tanti schematismi ideologici e falsi revisionismi che oggi imperano e condizionano tutti noi. Eppure, questa disciplina ha soltanto due o tre ore settimanali e non importa essere docenti per capire l’assoluta esiguità di tale numero. Quindi, come fare?
Ed ecco che torniamo alla premessa iniziale. Se ragioniamo con la logica del programma – qualsiasi libro di testo abbiamo in classe, argomento su cui servirebbe un altro articolo… -, sarà impossibile lavorare consapevolmente sul capitolo dedicato al governo Renzi. Ho evidenziato l’avverbio, perché fa la differenza: far studiare decine di pagine in un colpo solo, o viceversa offrire sintesi/mappe/schemi preconfezionati, per “guadagnare tempo di lezione”, non significa offrire la possibilità di uno studio consapevole, bensì serve soltanto a noi docenti per dire “ho fatto questo/sono arrivato lì”.
Il problema è che abbiamo fatto noi e siamo arrivati lì noi… ma i ragazzi? Sono lì anche loro dove siamo noi? Sarà preferibile, allora, semplicemente “tagliare” alcune parti, purché quelle affrontate insieme siano davvero com-prese – prese dentro dai nostri ragazzi.
Cosa significa, dunque, far studiare consapevolmente la storia del Novecento e oltre, tenendo presente quanto detto e superando anche quella distanza siderale che i ragazzi oggi avvertono davanti a questa materia, ritenendola spesso inutile? Come fare?
Per affrontare la questione, è quindi necessario parlare di metodologie e di didattica, con cui strutturare percorsi di lavoro e offrire adeguatamente i contenuti necessari e imprescindibili. Quali percorsi possibili? Quali strumenti? Quali contenuti? Qui inizia l’affascinante strada della progettazione annuale di settembre…
(1 – continua)
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