Accompagnare una o più classi in gita non è un dovere dell’insegnante. È una responsabilità che ci si assume volentieri se ci sono un progetto a monte, una buona relazione con i colleghi e una certa sintonia con gli alunni e le famiglie. La proposta della meta con le attività connesse è innanzitutto un lavoro di progettazione che presuppone la condivisione di obiettivi didattici oltre che educativi. La convivenza di una o più giornate al di fuori delle aule scolastiche è una sfida che non tutti si sentono di provare.
Accade spesso che i “veterani”, avvezzi a questa esperienza, motivino i colleghi un po’ scettici raccontando le imprese passate con orgoglio e dovizia di particolari, correlata con una buona dose di fotografie. I genitori chiedono insistentemente notizie sulla visita d’istruzione durante tutti i consigli di classe cui partecipano a partire da novembre (che in effetti è in genere la scadenza per presentare la proposta). Veniamo al punctum dolens: non tutte le classi sono adatte alle uscite didattiche e talvolta non tutti gli alunni.
È inevitabile chiedersi allora chi decide cosa. In genere si tende a non escludere elementi della classe a meno che non abbiamo ricevuto gravi sanzioni disciplinari legate al comportamento. La relazione tra docente ed alunno deve essere tale che ci si possa fidare, che le indicazioni date non siano disattese e che ci sia un buon clima tra i compagni. Spesso le classi di pari anno partecipano allo stesso viaggio per ottimizzare i costi e le energie, visto che non tutti gli alunni partecipano (per propria scelta). Di solito al sondaggio pre-gita aderisce il 50-60 per cento degli aventi diritto. Quando capita che una classe rimanga senza insegnanti accompagnatori mentre nello stesso istituto si organizzano viaggi d’istruzione per altre classi, si attiva un campanello d’allarme. Le discussioni avvengono in consiglio di classe con il dirigente che invita a rispettare il regolamento scolastico e i criteri sottoscritti, secondo il buon senso e la ragionevolezza del caso.
In presenza di classi turbolente si cerca di considerare se davvero non ci siano alcuni alunni, anche se pochi, meritevoli di essere accompagnati. In tal caso il coordinatore propone al consiglio i candidati da escludere motivando la scelta in base ai criteri condivisi. È evidente che i ragazzi che faticano a rispettare le regole di convivenza a scuola non risultano adatti a frequentare musei o luoghi della memoria in cui si richiede un contegno dignitoso ancor prima che interesse e partecipazione.
La visita guidata si propone, in genere, per un approfondimento di alcuni contenuti storici o culturali, ma anche per obiettivi educativi quali il rispetto delle regole di convivenza, lo sviluppo dell’empatia, possibilità di essere un leader, la capacità di prendere iniziative e spesso il problem solving (sugli itinerari da percorrere, per trovare una toilette, sul percorso per tornare al mezzo di trasporto…).
È un percorso educativo quello che porta a prevedere una gita, è un lavoro di ascolto e condivisione, di domande e curiosità costruito nel tempo. Capita anche che dopo aver proposto e organizzato un viaggio con attività culturali, quali entrata nei musei e visita guidata turistica della meta scelta, la maggior parte degli alunni sia pressoché distratta e interessata solo ai rapporti umani e con rammarico gli accompagnatori si interrogano se tanto lavoro abbia ottenuto la giusta ricompensa. Tanta attesa per il giorno della gita, preparativi, sveglia all’alba e poi succede che la sosta all’Autogrill sia il fulcro dell’interesse e le bellezze della città d’arte, Firenze, passi in secondo piano se non in terzo. È inevitabile chiedersi: ma perché?
Si tende a dare per scontato che sia innato e naturalmente insito nell’animo umano il fascino per ciò che è bello ma occorre sempre di più educare a riconoscere la bellezza e lasciarsi stupire. L’attenzione purtroppo è comunemente attratta da tanti, troppi stimoli che abbagliano ricacciando indietro quel di cui abbiamo veramente bisogno e che non viene riconosciuto anche se ce l’abbiamo davanti. Il ragazzino innamorato che incontra in gita lei, che gli fa battere il cuore, sarebbe giustificato ad essere distratto ma paradossalmente è quello che è più sensibile agli stimoli del bello, più focalizzato a cogliere ogni particolare stimolante, per poterlo raccontare al ritorno insieme alla sua “conquista”. È avvilente per i docenti accompagnatori constatare che i ragazzi avevano solo desiderio di stare insieme fuori da scuola disinteressandosi completamente o quasi del contesto, anche di fronte alla guida (pagata) che invita a guardare e a riflettere e dispensa aneddoti e curiosità difficilmente reperibili.
Possiamo analizzare questo malessere ed accusare famiglia, società, Covid, cellulari e social media ma la verità è che siamo noi che non trasmettiamo passione per il bello, ne parliamo talvolta ma non siamo testimoni credibili. Solo un lavoro serio sul nostro modo di porci di fronte ai ragazzi può invertire questa tendenza. Quelli che quotidianamente sono sollecitati al bello, sono educati a ricercarlo ovunque si trovino ma soprattutto a riconoscerlo dove è manifesto. In quest’ottica nascono progetti interessanti grazie ai fondi europei come la realizzazione di podcast o di un libro digitale per sensibilizzare ai luoghi di interesse del proprio paese e alle associazioni di volontariato che vi operano, così come corsi di fotografia per imparare a guardare con curiosità e stupore.
E tuttavia non basta: ci vuole un percorso che educhi quotidianamente all’osservazione, conviene progettare delle routine che abituino a questo, iniziare la lezione con un’immagine che suscita bellezza, una canzone o una poesia e pian piano chiedere a ciascuno di proporre qualcosa di personale che possa interessare anche agli altri. È indispensabile inoltre soffermarsi e lavorare sugli spunti che si incontrano inevitabilmente nelle discipline che insegniamo, dare spazio e fantasia noi per primi a questi spiragli di bellezza e significato se desideriamo comunicare la passione per il vero.
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