Da un lato siamo travolti dalle previsioni sulla ripresa, tra presenza, Did e Dad; dall’altro, dopo gli esiti Invalsi, si sono scatenati di nuovo i Soloni, persino Panebianco e Galli della Loggia sul Corriere della Sera a proporre nuove ricette.

Lasciamo ai politici e ai tecnici accogliere la sfida che la pandemia ha generato, per organizzare una ripresa il più possibile in presenza, il più possibile sicura ed esito di una intelligente mediazione.



Si ha troppo spesso l’impressione che, con un’immagine leopardiana, gli uomini, invece di essere solidali contro il nemico, spendano le poche o molte energie a confliggere fra sé, e non è un bello spettacolo.

Possiamo, in materia di formazione, recuperare un po’ di fiducia nei confronti di chi alla scuola ha dedicato la vita?



Ci scandalizziamo perché tutti in questo periodo si sono trasformati in virologi e mai perché tutti si trasformano in pedagogisti. Sarebbe auspicabile, per esempio, almeno, che i grandi giornali non confondessero più i termini di “scuola statale”, “scuola paritaria” e “scuola privata”, così come vorrei che non tutti gli studenti di scuola superiore fossero per sineddoche “liceali”. Si spererebbe che almeno per una volta, ora che il Pnrr ci renderà “tutti ricchi”, si ascoltassero i professionisti, almeno per alcune questioni che ci stanno particolarmente a cuore.

Mi si consenta innanzi tutto di rimandare per un dettagliato approfondimento sul valore delle prove standardizzate al bell’articolo di Tiziana Pedrizzi apparso su questo giornale.



Fidiamoci e studiamo le prove Invalsi, investiamo di più su questa strada, sarà anche perfettibile, ma c’è tanto da imparare. Se tutti concordiamo che inglese, italiano e matematica concorrono a costituire il core curriculum, allora accettiamo che i nostri ragazzi siano valutati anche attraverso questi risultati!

C’è ancora tanto pregiudizio su queste prove, ma costituiscono un buon punto di partenza.

Per l’italiano per esempio (di cui sono sicuramente più competente che in altre discipline) l’Invalsi ha contribuito, per chi ha voluto studiare, a modernizzare l’approccio e a costruire quella competenza testuale di cui abbiamo tutti bisogno; ma anche per le altre discipline oggetto di verifica, Invalsi ha favorito una riflessione didattica e formativa di cui c’era necessità. Non si tratta di piegarsi a una logica “performante”, si tratta di assumere anche nella quotidianità del lavoro didattico gli esiti della ricerca accademica più avanzata.

Altra questione spinosa: signor ministro Bianchi, per favore, non pensi a confermare questo esame di Stato della secondaria di secondo grado! scuola 280Non è stato un esame, è stato un maldestro tentativo (comprensibile in tempo di pandemia, ma non in tempi normali) di dare un’immagine rassicurante, ma l’esito è stato assai deludente: la prova non ha parametri oggettivi, la commissione interna non garantisce la necessaria equità, il percorso che avrebbe dovuto costituire il cuore dell’esame, un vero “capolavoro”, nella maggior parte dei casi ha rischiato di essere un copia-incolla che non consente una valutazione ponderata, il curriculum dello studente non è stato valorizzato, ha aggiunto impegno per le segreterie già oberate e non ne è stato compreso il valore; non parliamo del Pcto (l’ex alternanza) relegato a Cenerentola.

Terza questione: per quanto Galli della Loggia esprima preoccupazione per questo “andazzo”, la scuola è fin troppo ripiegata sulle conoscenze e stenta a sviluppare e valutare competenze. Il dramma, carissimi intellettuali, è che per molte ragioni scolastiche (età dei docenti, formazione, reclutamento), ma anche sociali (assenza degli adulti, adulti poco consapevoli, eccesso di esposizione ai devices) il bambino e l’adolescente sono sempre più lasciati soli nell’avventura della crescita.

Mi preoccupo quando incontro giovani mamme nel breve tratto casa-scuola parlare freneticamente al cellulare o forse chattare (di scuola) con le altre mamme, dimenticando che forse quei pochi momenti potrebbero generare un dia-logo molto più interessante e costruttivo con i propri bambini.

È vero che la società nel passato aveva altri modelli educativi, ma anche tanta esemplarità è venuta meno. Difficile per i nostri bambini e ragazzi procedere per imitazione.

Chiarissimo professor Galli della Loggia (di cui per altro ho spesso stimato i coltissimi giudizi), il dramma in questo momento è che non riusciamo più ad affascinare i nostri ragazzi, che la cultura, sia umanistica che scientifica e tecnica, appare loro completamente disincarnata dal senso e dalla realtà. Non scholae sed vitae discimus!

Occorrono soprattutto ora adulti colti, certamente, ma anche innamorati delle discipline, capaci di far convergere conoscenze e competenze. Solo così il volto degli studenti potrà tornare ad essere un volto che si volge verso il senso delle cose con curiosità e desiderio e non una nuca costantemente ripiegata a “googlare” fake news (in un inglese imparaticcio e incapace di competere con il mondo).

Professore, l’ho sentita molto acre anche nei confronti dell’educazione civica. La prego, si ravveda, è un’opportunità offerta nella direzione della civiltà, della convivenza, dell’etica della responsabilità; se è vero che per educare un bambino ci vuole un villaggio, consenta anche alla scuola di essere parte del villaggio e che i buoni maestri (e ce ne sono!) si lascino interpellare da questa nuova disciplina; si sono viste cose buone in questi primi mesi di sperimentazione.

Da ultimo, doveroso anche se ovvio, preme sottolineare ancora una volta come sia sempre più difficile che tanti giovani così dotati, di cui la scuola e la società tutta avrebbero tanto bisogno, decidano di diventare docenti per pochi euro e una carriera pressoché statica. È urgentissimo un cambiamento di prospettiva!

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