“Sarà mai possibile che il conflitto abbia termine? Si dovrà attendere lo sfinimento e la reciproca distruzione delle parti o qualcuno potrà fare una proposta di pace?” è la domanda che si leva da una ragazza, quasi come un grido, nel corso di una lezione di storia al liceo dedicata al conflitto israelo-palestinese.



A chiedere questo momento di spiegazione sono stati proprio gli studenti, che hanno espresso l’esigenza di conoscere, di approfondire e di individuare quali siano i soggetti e i fattori implicati nella guerra. Questa domanda e il lavoro che ne è conseguito sono già stati un primo richiamo, tanto per me docente quanto per gli studenti, alla serietà e all’importanza dell’analisi storica, la quale richiede sempre, ma in questo caso ancor di più, attenzione, delicatezza e pazienza perché si possa realmente entrare nell’intrico delle vicende umane.



Proprio questa analisi, necessaria e imprescindibile, di quanto accade e delle sue cause mostra il suo limite e ci consegna un senso di frustrazione per la complessità con cui ci si scontra, per l’impossibilità di letture troppo semplicistiche. Dall’esperienza di questa insufficienza sorge un’ulteriore esigenza, l’esigenza di uno sguardo nuovo, di una prospettiva sintetica, nuova ma non alternativa rispetto alla disanima analitica.

È la domanda della studentessa a costituire una svolta per la lezione: che cosa proporre davanti alle difficoltà che la storia e l’attualità ci consegnano? È stato inevitabile allora per me riprendere gli interventi del cardinal Pizzaballa insieme alla classe, anzitutto la sua preoccupazione per la catastrofe umanitaria, ossia la cura per i volti e le necessità di persone concrete, cui guardare per superare ogni logica di polarizzazione tra le parti come unica chiave di lettura possibile.



In questo, come negli altri suoi interventi, il patriarca latino dà voce al tentativo della presenza cristiana in quella terra di realizzare veramente una prospettiva nuova, uno sguardo differente su quello che accade e che indica a noi, insegnanti e allievi, un’ipotesi di lavoro concreta per considerare anche l’apprendimento della storia.

Tali eventi e le questioni che portano con sé, infatti, ci interrogano su quali siano i fattori e i soggetti che è davvero importante presentare nello studio della storia ed è stato proprio questo il tema su cui è continuato il dialogo in classe.

In primo luogo, la forza con cui veniamo colpiti dall’attualità ci sprona a non guardare tante vicende del passato, anche drammatiche, come dall’alto e con una certa distanza, dimenticando il dramma umano di chi ne è stato direttamente coinvolto; dramma umano che vive ognuno di noi: anche noi possiamo essere vittime di ingiustizie e violenze lungo le nostre giornate, possiamo essere mossi da sentimento di odio e di vendetta, abbiamo bisogno di pace in mezzo a quello che ci attanaglia, non siamo diversi insomma dagli uomini che si ritrovano coinvolti nelle guerre di oggi come di ieri.

Inoltre, uno sguardo diverso, come quello della presenza cristiana e del cardinal Pizzaballa, ci indica che approfondendo la storia è possibile e talvolta anche doveroso rintracciare figure e vicende apparentemente minori, forse meno eclatanti delle scelte dei potenti o della cronaca di grandi battaglie, ma non meno significative e decisive per le prospettive di ricostruzione e di speranza che hanno portato con sé.

Poco dopo, confrontandoci tra colleghi, ci siamo ricordati le parole di don Giussani: “Quando […] la morsa di una società avversa si stringe attorno a noi fino a minacciare la vivacità di una nostra espressione e quando una egemonia culturale e sociale tende a penetrare il cuore, aizzando le già naturali incertezze, allora è venuto il tempo della persona” (A. Savorana, Vita di don Giussani, Bur 2018, p. 487), anche come metodo per studiare e spiegare la storia.

Non ho potuto non condividere con gli studenti il ricordo di diversi incontri con cristiani impegnati in opere educative in Medio Oriente, opere che spesso costituiscono per molti non cristiani la prima e decisiva occasione di incontro con chi è diverso ed estraneo e che, studiandoci insieme, può essere guardato in modo nuovo. Di fronte alla polarizzazione appare sempre più necessaria una presenza educativa, una educazione del cuore della gente.

Compiendo questo cammino allora la complessità delle vicende in atto ci richiama alla serietà dello studio della storia, così incidente nel concreto dell’esistenza delle persone, e sorge il bisogno di ricercare qualcosa di più della semplice disanima di un problema: si fa spazio l’esigenza di scorgere in atto una possibilità di speranza e ricostruzione. Lo stesso lavoro in classe diventa un rendere già presente e viva quell’educazione del cuore della gente di cui si è andati riconoscendo la fondamentale importanza.

Questa lezione così intensa si chiude con un’ultima domanda da parte di alcuni studenti: chi seguire? A quali fonti fare riferimento? È la grande domanda sulla certezza, su come, nella storia, nell’attualità e nella vita, si possa trovare qualcuno che sia affidabile, qualcuno che possa indicarci un cammino percorribile anche in mezzo alle vicende più drammatiche.

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