Secondo il ministero dell’Istruzione e del Merito il numero di alunni i cui genitori, nell’anno scolastico 2020/21, hanno scelto di praticare l’istruzione parentale, oltre 15.300, è più o meno il triplo del 2018/19, quando erano 5.100 circa. L’Associazione nazionale presidi (ANP) fa presente, inoltre, che nel corso di quest’anno scolastico, la richiesta di consulenze in merito all’istruzione parentale, da parte dei dirigenti scolastici, è aumentata notevolmente, pertanto, in attesa di avere dati più recenti, si può ipotizzare che sia in atto un trend di ulteriore crescita. Il fenomeno, dunque, ancorché minoritario – gli alunni in Italia sono 8,5 milioni – merita comunque una riflessione.



Preciso preliminarmente di indicare l’istruzione parentale con il termine inglese homeschooling, sia che si svolga con un solo alunno, sia che invece comprenda piccoli gruppi di alunni. Vediamo adesso come si attua tale pratica.

Le principali norme che regolano l’istruzione parentale, oltre al TU (D.lgs. 297/1994, artt. 109 e successivi), sono l’art. 23 del D.lgs. 62/2017 e l’art. 1, comma 4, del D.lgs. 76/2005. Esse convergono nel definire i seguenti passaggi.



Anzitutto i genitori dell’alunno devono farne richiesta annualmente alla scuola di competenza; successivamente devono dimostrare di avere le capacità tecniche o economiche per l’esercizio di essa ed è compito del dirigente scolastico accertarsi di ciò. Ovviamente quest’ultimo non può sottoporre i genitori ad esame e neppure indagare sul loro reddito, ma in ragione del fatto che gli alunni in questione sono sottoposti annualmente a una prova di idoneità per valutare gli apprendimenti conseguiti, si ritiene che tale prova, qualora abbia esito positivo, attesti indirettamente il possesso di quei requisiti da parte dei genitori. Va aggiunto che il compito di vigilanza circa l’obbligo scolastico riguarda non solo il dirigente, ma anche il sindaco del Comune di residenza dei minori, il quale potrebbe attivare gli assistenti sociali.



Le norme che regolano la procedura – illustrata per sommi capi – riposano su alcuni fondamenti costituzionali. Infatti, nonostante la Carta non menzioni espressamente quel tipo di educazione, per via ermeneutica e inferenziale è possibile affermarne la piena liceità. Essa, infatti, deriva dall’art. 30 il quale afferma il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli e dall’art. 34, secondo il quale la scuola è aperta a tutti. Si consideri, inoltre, che la Costituzione prevede l’obbligo di istruzione, ma non l’obbligo di frequenza di una scuola. In sostanza, si consente alla famiglia di provvedere autonomamente e direttamente all’educazione dei figli. Del resto anche l’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani afferma che i genitori “hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”. Infine, l’art. 14, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ribadisce tale diritto.

La ricerca sociale dovrebbe approfondire il tema delle motivazioni che ispirano la scelta dell’homeschooling, poiché esse, prima facie, sono piuttosto differenti ed eterogenee. Alcune derivano dall’esperienza della pandemia, che ha spinto i genitori per esigenze sanitarie a sperimentare quel percorso, il quale evidentemente è apparso loro soddisfacente. Altre afferiscono a culture religiose minoritarie oppure all’appartenenza a gruppi genitoriali uniti ad esempio dal comune rifiuto dei vaccini o dall’ostilità verso determinati insegnamenti, oppure ancora verso l’autorità statale in quanto tale, considerata invasiva indebitamente della sfera di libertà individuale. In certi casi, i richiedenti ritengono che una tale educazione avrebbe il vantaggio di consentire una maggiore attenzione ai ritmi di crescita e di apprendimento; permetterebbe di evitare le imposizioni che deriverebbero dall’adozione di un curricolo uniforme per le classi, come quello delle scuole pubbliche; ridurrebbe lo stress conseguente alla competizione con altri alunni; renderebbe possibile, infine, diluire gli insegnamenti nell’arco dell’intera giornata, senza sottostare ai vincoli dell’orario scolastico tradizionale. Non dovrebbero essere ignorate, tuttavia, le ragioni che invece portano a dubitare della validità di quella pratica educativa.

Ne evidenzio alcune. La prima risiede nell’idea di “prossimalità”, elaborata da Lev Vygotskij, illustre psicologo e pedagogista, la quale, in estrema sintesi, attesta l’importanza degli altri ai fini dell’apprendimento. Senza entrare nello specifico di quella nozione (non è questa la sede) non possiamo non constatare tuttavia come gli altri siano indispensabili ai progressi delle nostre conoscenze. È evidente come la homeschooling, particolarmente quando il bambino in apprendimento è solo, tenda a eludere o trascurare questa dimensione. Aggiungerei che la socializzazione stessa non rappresenta un percorso aggiuntivo rispetto a quello di acquisizione delle conoscenze, ma un vero e proprio ingrediente per il progresso degli apprendimenti.

Per queste ragioni (concrete e non ideologiche) ritengo che vi debba essere un equilibrio dell’esperienza in maniera tale da riconoscere il diritto all’homeschooling, come facente parte della sfera di libertà inalienabili, e da regolare un tale diritto, ponendo appositi vincoli, come quello dell’esame annuale per i bambini. In alcuni casi, infatti, si tratta di evitare che l’homeschooling produca semplicemente l’evasione dall’obbligo scolastico. Sarebbe auspicabile, a questo riguardo, evitare lo sport nazionale della polemica politica, affidando alla destra la difesa delle libertà individuali e alla sinistra quella dell’autorità dello Stato. In mezzo, come sempre, ci sarebbero i bambini.

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