Gli Its sono ancora insufficienti a rappresentare quel canale della formazione terziaria professionalizzante che in altri paesi rappresenta quote importanti della percentuale complessiva dei laureati. E la loro scarsa diffusione è quindi anche uno dei motivi della bassa percentuale di laureati italiani (circa il 28% della coorte 25-34 anni) rispetto a quella dei partner europei e anche dell’Ocse.



Gli Its, infatti, potrebbero rappresentare uno sbocco naturale, in primo luogo, per i diplomati degli istituti tecnici e professionali desiderosi di un’istruzione terziaria, ma che non sono in possesso di un adeguato background accademico.

Ne hanno parlato, qualche giorno fa, i relatori del terzo seminario della serie del Gruppo Unimi 2040, vale a dire Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli, e Alessandro Mele, presidente dell’Associazione Rete Fondazioni Its italiani, coordinati da Marino Regini, professore emerito dell’Università di Milano. Hanno discusso le relazioni Luciano Modica, professore emerito dell’Università di Pisa ed ex sottosegretario all’Istruzione, e Francesco Pastore, leader sul tema delle transizioni scuola-lavoro del Glo e autore di diversi editoriali sul tema.



Gavosto ha fornito i dati aggiornati del fenomeno così come emergono dalla banca dati Indire. Gli iscritti e laureati agli Its aumentano, ma restano ancora in un numero piuttosto limitato. Gli iscritti sono circa 15mila e i diplomati ogni anno circa 3mila, ma sono quasi nulla se confrontati con gli oltre un milione di iscritti annui alle lauree triennali. Ciononostante, il tasso di occupabilità a un anno dalla laurea persiste molto alto per gli iscritti.

Gli Its sono soprattutto frequentati da maschi residenti nel Centro-Nord (soprattutto Lombardia) e occupati nel settore manifatturiero. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il numero di Its è pari alla media nazionale solo in Campania, mentre c’è solo un Its nelle altre regioni meridionali. I corsi più richiesti sono le nuove tecnologie per il made in Italy: la mobilità sostenibile, le Ict, il turismo. Infine, gli iscritti provengono prevalentemente dagli istituti tecnici e, in misura minore, dai licei e dagli istituti professionali.



Ciò conferma la natura degli Its, che sono stati concepiti essenzialmente come lo sbocco a livello terziario per chi ha una formazione tecnica e professionale. Un aspetto negativo implicito è che tendono ad attrarre studenti con un background socio-economico e culturale piuttosto basso.

Nel suo intervento, Mele ha mostrato come gli Its svolgano un ruolo fondamentale di interfaccia fra famiglie e imprese e come il successo di chi vi partecipa è superiore alla media dei diplomati e laureati di altri percorsi. Inoltre, si è soffermato su diversi possibili suggerimenti per favorire una maggiore diffusione degli Its, che a suo modo di vedere hanno un potenziale notevolissimo. Occorre destinare maggiori risorse agli Its e incentivare una collaborazione più intensa con le università.

Modica si è concentrato sugli ostacoli che hanno impedito finora un canale professionalizzante a livello terziario. Ha ripercorso le tappe di una lunga storia di insuccessi. È da decenni che si pensa a un canale del genere, ma tutti i tentativi compiuti sono falliti sia a livello di istituti superiori non universitari che di lauree professionalizzanti. Gli istituti superiori non sono mai decollati. È stato necessario attendere il governo Prodi e poi in seguito una legge del 2010 per far partire gli Its con un ritardo di circa 50 anni rispetto alle esperienze degli altri paesi europei.

Le lauree professionalizzanti erano state introdotte con le triennali negli anni 90 e, ancorché con un numero di iscritti ridotto, rappresentavano una storia di successo. Poi la riforma Gelmini le ha fatte tornare a essere generaliste e parte di un percorso di laurea accademica, il 3+2. Oggi le università potrebbero anche realizzarle, ma non lo fanno, poiché non sono pronte, al pari delle imprese.

Pastore ha confermato la sensazione che gli Its siano vittima di una separazione fra teoria e pratica che ha le sue origini nell’idealismo gentiliano che ha permeato l’introduzione dell’università italiana dagli anni Trenta. Occorrono incentivi anche economico-finanziari per superare queste avversioni reciproche fra scuole/università da un lato e imprese dall’altro. In realtà, però, vale la pena farlo, poiché il futuro del lavoro richiederà sempre più, accanto all’istruzione di carattere generale, le competenze lavorative, sia generali che specifiche, le quali si formano solo in azienda.

Il Recovery fund, che dovrà accrescere l’infrastrutturazione immateriale e quindi anche la formazione del capitale umano, dovrebbe prevedere come obiettivo anche il rilancio degli Its e di tutti i percorsi che prevedono un’applicazione del principio duale, come l’apprendistato scolastico alla tedesca, la formazione professionale on-the-job degli studenti degli istituti tecnici e i dottorati industriali.