Riceviamo e pubblichiamo il tema di Katerina, quinta liceo scientifico.
Da due anni noi studenti ci sentiamo dire: “Dai, siete a casa tutto il giorno, potete studiare qualche paginetta in più, potete fare qualche esercizio in più”.
Certo, io, a costo di non dormire il giusto tempo la notte, provo a farli, provo a trovare un senso in quello che mi viene assegnato, per poi essere io protagonista il giorno dopo e per poter dialogare con Petronio, con Oscar Wilde, per capire la prima guerra mondiale, i punti di non derivabilità e persino il magnetismo. Mi ci butto a capofitto. Ne vale la pena o è tutta fatica sprecata?
Arriva il momento, il pomeriggio a casa, di fare i conti con ciò che si è fatto in classe, e questo spesso spaventa. Siamo solo noi, noi e il libro: cosa fare? Di fronte a una derivata che sembra quasi impossibile, cosa fare? Dopo un’ora sulla stessa pagina di storia che non sa di vita, cosa fare? Provo a chiedere aiuto.
Spesso tra amici si ha paura di disturbare l’altro nel momento in cui si chiede una mano, in cui si studia insieme, ma non è bello avere qualcuno a cui interessa sapere se trovi un senso in ciò che fai?
Perché sì, io non capisco quello che Schopenhauer mi voleva dire: provo, un po’ titubante e timorosa, a chiedere alla prof, ma niente: ripete le stesse parole del libro! Ho un’amica che ha letto Il mondo come volontà e rappresentazione, ed è interessata a spiegarmelo nel modo più chiaro e comprensibile possibile: cosa faccio quindi? Sto con lei!
Oppure potrebbe andare anche peggio (ipotesi che parrebbe alquanto irreale ma che pian piano diventa normale): ai miei professori non interessa se Daniela capisce matematica e fisica, ma a me interessa? Mi interessa che lei non si perda? Sto un po’ con lei per aiutarla e per aiutarmi, non solo a studiare la materia in cui non si riesce: sto con lei anche per provare a vivere tra queste pagine.
Vediamo il quadro della classe: i riusciti, che rimangono sempre a galla, sono pochi, pochissimi. C’è, invece, una valanga di vinti. I professori, davanti a questi chiudono entrambi gli occhi: su una classe di 23 persone, 15 non capiscono, altri 5 zoppicano, gli unici 3 riescono. Ma ai miei professori interessa vedere me come singolo, con i miei limiti, con le mie difficoltà, con le mie domande? Io valgo qualcosa come singola persona, come Katerina, o sono solo la frazione di una classe?
Poi, se dobbiamo dirla tutta, la scuola non può essere un posto dove si cerca di sopravvivere. Lì dentro noi vogliamo sentirci vivi, non vivere in funzione della mole di roba da studiare per il giorno dopo o, ancora peggio, della mole di cose da anticipare per far quadrare tutti gli impegni.
L’unica soluzione per capire perché studio e come farlo in un modo diverso, più interessante, più bello, è solo farlo per qualcuno e con qualcuno. Abbiamo tutti questo qualcuno?
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