Può reggere un’amicizia di fronte al dramma della vita?  E in un momento così drammatico e faticoso come quello attuale?

Nella scuola italiana dei repentini cambi delle regole per gli Esami di Stato, del mare di circolari, degli acronimi indicibili (Nev, Niv, Pai, Pia, Ptof, Rav eccetera) e della Dad (Didattica a distanza), talvolta accadono miracoli inaspettati che riaccendono la speranza e l’amore per l’insegnamento, anche al tempo del coronavirus.



Nell’IIS Cobianchi di Verbania è successo qualcosa di veramente bello e straordinario che misteriosamente dura ancora e ha retto all’urto della situazione. Studenti di diverse culture, nazioni, religioni eccetera hanno iniziato a vedersi settimanalmente, mettendo al centro una domanda esistenziale o una discussione su un tema di attualità o la semplice voglia di stare insieme e studiare per il giorno successivo. Il punto di partenza è stato un evento drammatico: l’attentato al Bataclan del 2015.



Dopo l’accaduto, gli studenti islamici della scuola sentivano un potente disagio e percepivano cambiamenti di sguardo nei loro confronti da parte di alcuni compagni. Da lì l’idea di parlare e aprire il cuore a una presenza educativa, che ha allargato il desiderio di trovarsi a compagni di tutte le provenienze.

Nei primi incontri tanti momenti intensi, veri e drammatici: lacrime represse per anni per discriminazioni subite e/o chiusure comunicative. Poi le domande incalzanti: chi sono io? Chi è l’altro? Perché le differenze? In seguito, il desiderio di esserci su un problema vissuto come una frustata: il razzismo. I ragazzi desiderosi di farsi sentire partecipano a un video in seguito inserito su Youtube: «Il Cobianchi dice no al razzismo», in cui in 16 lingue diverse esprimono se stessi e il loro cuore fatto per una giustizia grande.



Ma si sa, alla vita grande e larga non basta uno spot pubblicitario, per quanto straordinario, e gli studenti continuano a vedersi e interrogarsi sulle questioni importanti. Una pizzata insieme ai prof (Cataldo, Vincenzo eccetera), un gelato con tutto il gruppo e poi la partecipazione massiccia ogni anno alla Colletta alimentare, dopo l’ascolto delle dieci righe. Uno spettacolo che si ripete nei supermercati di Verbania: studenti wolof e cinesi, rumeni e sudamericani, italiani e ucraini… Insieme per un bene che desta stupore nella gente. E lavorano a dare un sacchetto, impacchettare, caricare con Alpini, Associazione Carabinieri, Volontari Cri, Cavalieri di Malta. E non mollano. Infatti continuano con la pubblicità sul loro sito Facebook alla Colletta farmaceutica, talvolta non considerata nella sua portata o non ben conosciuta. Non competenze di cittadinanza soltanto, dunque, ma una vita insieme, uno scopo comune. Le differenze non azzerate, ma rispettate e amate, partendo dal fatto che «l’altro è un bene per me» e non solo teoricamente.

E nei mesi del lockdown, nel dover stare forzatamente a casa, a causa dell’epidemia? Ancora amici, nuovamente amici, in modo commovente amici. E tutti, insolitamente, desiderosi di tornare a scuola per vedere i compagni di classe. Molti presenti all’incontro settimanale del mercoledì pomeriggio su Google Meet, a parlare di sé, di angosce, paure, difficoltà: dell’umano che ci rende simili. E poi una serie di messaggi in chat e soprattutto emoticon: muscoli gonfiati, arcobaleni di speranze, bandiere tricolori, cuoricini e mani giunte. Brandelli di ricordi di incontri passati, frammenti di discorsi e battute inconcludenti per esorcizzare la paura e sentirsi vicini. Studenti cinesi, filippini, italiani, arabi insieme a tremare e andare insieme al destino buono di tutti, cercando di incoraggiarsi e sostenersi.

Ma cosa c’entra il genio educativo di don Giussani con questa storia di provincia e di periferia, al tempo della Dad e del coronavirus? Tutto. Il punto di partenza è infatti la passione per l’altro, per il suo volto inconfondibile, unico e irripetibile. L’esperienza di un bene grande ricevuto da un altro resta incancellabile per l’io, per me e permette un cammino anche nella solitudine. Solitudine non è separazione, scissione dall’altro o distacco insanabile, ma possibilità di uno sguardo diverso sull’altro e su di sé.

E allora, eccoli, disordinatamente, come sono nel loro essere spiazzanti e imprevedibili: Alessandro, Alessandra, Beatrice, Khadim, Moustapha, Mokhtar, Shafik, Li Dang, Yixian, Chan, Brendon, Camilla, Lisa, Alex, Natasha, Ilaria, Nataly Xiomar, Lisa Marie, Maggie, Mounia, Michelangelo, Tereza, Virginia, Marco, Mattia e altri 40 studenti: pochi, ma tanti nel cuore. Che ne sarà di loro? Perché questa affezione e il sentirsi ancora parte l’uno dell’altro? E cercarsi con una tenerezza sottintesa per un destino comune e di comunità…

E ora? Il numero è un po’ diminuito, ma la domanda è ancora più forte e il Mistero, a causa di quello che è accaduto, si accresce, si allarga. E allora sono per tutti attuali le parole di Andrea, un ragazzo con trisomia 21, che durante un incontro su «che cosa vince il mio nulla?» corregge con certezza il prof, che aveva detto che in ognuno di noi c’è un di più. «No prof! Tu sei un di più! Michelangelo è un di più! Tereza è un di più! Virginia è un di più! Tutti siamo un di più!».

Grazie Andrea, per le tue misteriose correzioni! Da quali abissi del cuore nascono?

Che bello imparare e ritornare giovani in questa strana e affascinante amicizia! E capire che si può voler bene anche da uno schermo e che il coronavirus non può vincere la strana amicizia.