Prufrock, protagonista de Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock (The Love Song of J. Alfred Prufrock), composto da T.S. Eliot a 22 anni e pubblicato nel 1917, camminando per le strade di una città deserta, nebbiosa, tediosa sente nascere in sé stesso domande profonde e opprimenti. Le scaccia e si concentra sulla visita che sta andando a fare. Entra in un salotto in cui ci sono donne “che vanno e vengono parlando di Michelangelo” e così esprime, in un monologo narrato nella finzione di un’assoluta segretezza, tutta la sua indecisione, la sua paura di rischiare una qualsivoglia decisione:
“E di sicuro ci sarà tempo
Per il fumo giallo che scivola lungo la strada
Strofinando la schiena contro i vetri;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito”
Ma a un certo punto, il procrastinare di Prufrock non riesce a rimandare un’audace domanda:
“Oserò
turbare l’universo?”
There will be time … do I dare disturb the universe? Indecisione e desiderio. È un attimo quello in cui affiora nel giovane la domanda: “Oserò?”. Oserò cosa? “Turbare l’universo”. Disturbare l’universo. Derivato dal sostantivo latino turba = trambusto, disordine, il verbo “turbare” significa sconvolgere, alterare, mettere in disordine, agitare, inquietare. Si potrebbe riformulare così la domanda di Prufrock: “Oserò con la mia presenza, il mio esserci, il mio fare, alterare l’universo? Potrò incidere sul suo essere? Sono portatore di un elemento di novità, di un’anomalia che non lascerà l’universo così com’è? Oppure questo universo in cui mi trovo, questo mondo in cui vivo, rimarrà inalterato al mio passaggio, non si accorgerà di me?”
Il tema dell’orientamento, anche nella didattica, oscilla tra queste due posizioni che coesistono, non si annullano l’un l’altra: da una parte l’indecisione, il procrastinare, la paura di rischiare una scelta; dall’altra il desiderio di incidere nel mondo, di avere un senso, uno scopo, ultimamente un compito da svolgere.
Lasciandoci provocare da Prufrock, insieme ad alcuni docenti ci siamo interrogati sulla possibilità che la didattica sia di per sé stessa orientativa, come auspicato nelle ultime linee guide ministeriali, che hanno introdotto moduli di 30 ore annuali nella scuola secondaria volti a offrire uno “strumento essenziale per aiutare gli studenti a fare sintesi unitaria, riflessiva e interdisciplinare della loro esperienza scolastica e formativa, in vista della costruzione in itinere del personale progetto di vita culturale e professionale, per sua natura sempre in evoluzione”.
A quali condizioni, ci siamo domandati, le lezioni, lo studio personale, le verifiche, la valutazione possono accogliere e far fiorire l’urgenza propria di ogni giovane di essere utile al mondo, di incidere nell’universo, infondendo da una parte il coraggio di osare, dall’altra incrementando la consapevolezza delle proprie doti, dei propri limiti, delle proprie inclinazioni? Un equilibrio non facile da raggiungere, soprattutto a fronte dell’aggravarsi di tante fragilità che rendono spesso i ragazzi e le ragazze incapaci di affrontare le sfide che l’apprendimento inevitabilmente pone, quali la tenuta nella concentrazione, lo svolgimento di verifiche e interrogazioni, il rischio dell’interpretazione e dell’argomentazione, la gestione degli insuccessi.
Domanda, compito e condivisione sono emersi nel dialogo e nel racconto di esperienze scolastiche quali condizioni decisive per una didattica orientativa efficace.
In primis, la domanda. Il problema dell’orientamento non è, infatti, fare la scelta giusta per il futuro: occorre porre le domande giuste nel presente, vivendo la realtà qui ed ora, così da poterne scoprire il significato e al contempo sé stessi. Impostare le lezioni esplicitando all’inizio a quale domanda si vuole rispondere, quale problematica si metterà a tema; insegnare a porre domande significative nell’interpretazione dei testi, nella traduzione, nello studio dei fenomeni fisici, nelle sfide logiche della matematica, lasciare spazio alle domande degli studenti, prenderle sul serio; insegnare la pazienza nella ricerca della risposta, senza aver fretta di concludere il discorso perché sta per suonare la campanella, sono modi preziosi per comprendere la natura della ragione umana, che è apertura all’infinito, al senso, mai soddisfatta nella conoscenza e continuamente rilanciata dall’impatto con la realtà. La stima di questa insoddisfazione cognitiva ed esistenziale, che caratterizza innanzitutto il docente, è fondamentale anche per vincere una concezione che spesso considera patologiche le domande e il grido di verità e di significato dei giovani e dell’uomo in generale.
Dall’esigenza di trovare risposte alle proprie domande nasce il compito, il lavoro affidato a ciascuno per comprendere, conoscere, comunicare i propri tentativi. Solo chi si mette personalmente in gioco nel cammino di conoscenza ha l’occasione di scoprire sé stesso, le proprie risorse e potenzialità. A condizione che il compito non sia puramente procedurale, ripetitivo e applicativo. Certo, in alcuni casi è necessario uno studio che fissi nella mente le nozioni, ma è importante far capire bene agli studenti la differenza tra le attività che servono ad affinare i linguaggi, le “grammatiche” delle diverse discipline, e quelle in cui si chiede a ciascuno di rispondere personalmente a una questione sorta nel percorso di conoscenza, di interpretare un testo, di risolvere autonomamente un problema, di creare una modalità di comunicazione dei risultati dell’indagine.
E nello svolgere il compito emerge la necessità della condivisione: un serio lavoro personale apre sempre al dialogo, al confronto con i tentativi altrui, alla comunicazione delle mete raggiunte ai propri compagni, alla correzione vicendevole e costruttiva, utilissima per imparare ad accettare le proprie imperfezioni e a guardare con distacco i propri errori.
Quando la lezione si configura come uno spazio e un tempo carichi di significato, scoperta e amicizia, la scuola diviene realmente orientativa, perché rispondente, già nel presente, alla natura di ogni Prufrock in cammino verso il suo futuro.
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