Pur senza voler generalizzare, pare piuttosto evidente come nelle ultime settimane le aspettative, talora esorbitanti, di cui ha goduto la didattica a distanza nell’anno della pandemia stiano mutando rapidamente di segno. A un’iniziale e parzialmente ingenua fiducia nelle possibilità offerte dalle tecnologie digitali applicate al contesto scolastico, ha così fatto seguito un rifiuto sempre più marcato e diffuso della didattica a distanza (Dad, dallo scorso anno riconcettualizzata dal ministero come Didattica digitale integrata, Ddi). Non di rado decontestualizzata rispetto al quadro epidemiologico in cui si è andata affermando come strumento del tutto indispensabile, oggi è assai più spesso interpretata sbrigativamente come foriera di ogni possibile guasto sul piano didattico. Nell’anno di Dante, risuona in lontananza l’attacco della celebre similitudine dal secondo Canto dell’InfernoE qual è quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta / sì che dal cominciar tutto si tolle.



Avendo contribuito in forma non marginale a promuovere un auspicabile discorso pubblico sui temi della didattica a distanza e dell’integrazione del digitale nei processi di apprendimento, vorremmo riprendere sinteticamente quelli che riteniamo altrettanti elementi cardine per una discussione non manichea sul tema. Derivano da un lato dalla riflessione su una sperimentazione pluriennale, ampiamente diffusa in rete, condotta in Trentino, dove l’Istituto Martini di Mezzolombardo è scuola–polo per il Piano scuola digitale. Nel marzo del 2020 l’Istituto è balzato agli onori della cronaca nazionale, dato che sin dai primi giorni del lockdown è andato attuando l’intera programmazione didattica in modalità blended.



Al tempo stesso, le considerazioni che seguono sono il frutto di un dialogo con le principali realtà nazionali e internazionali nel campo della Dad, da cui è nato il Dossier prodotto per Tuttoscuola “Verso la didattica digitale integrata. Cosa abbiamo imparato, cosa dobbiamo imparare. Lo stato dell’arte, i nodi critici e la proposta di un modello sperimentato con successo nella scuola”. Ci si perdonerà un inevitabile schematismo.

Innanzitutto, va detto senza esitazione, che la Dad – e ciò vale anche per la Ddi – “non funziona”, ossia non viene impiegata nei termini adeguati, quando risulti integralmente sostitutiva dell’apprendimento in presenza. Gli studi e le ricerche condotte nei mesi recenti hanno posto in luce in modo inequivoco i limiti di un suo uso integrale e per periodi prolungati, con un impatto profondo e negativo sia sulle carriere scolastiche individuali, sia sul sistema educativo inteso nel suo insieme. Ci si riferisce alla crescita marcata dei fenomeni di dispersione, discontinuità nella frequenza, perdita di livelli di apprendimento rispetto agli esiti attesi (learning loss). Inoltre non va sottaciuto il deficit registrato nella sfera dell’equità: a pagare sono state soprattutto le categorie svantaggiate, con un inasprimento degli effetti derivanti dai tradizionali divari socio–economici, socio–geografici e, nel caso specifico, dall’accesso differenziato all’utilizzo della rete e dei dispositivi tecnologici.



In secondo luogo, si può affermare che la Dad tende ad essere debolmente efficace quando risulti un mero surrogato dell’apprendimento in presenza, ottenuto mediante la trasposizione online delle modalità di didassi tradizionale.

Indagini recenti hanno dimostrato come il ricorso alla modalità a distanza, nella quota preponderante dei casi, si sia accompagnato ad una riproposizione di metodologie utilizzate nella didattica in presenza. In altri termini, l’impiego della rete ha visto replicare massivamente le forme di didattica tradizionale: dalla lezione online, operata in forma prevalentemente trasmissiva, alla somministrazione e correzione dei compiti, sino alla semplice distribuzione di materiali e complementi didattici.

Per contro, la Dad dà prova di efficacia e arricchimento significativo della didassi quando figuri come componente non esclusiva di un apprendimento integrato, che sappia miscelare efficacemente apporti in presenza e a distanza. Rispetto ad un’evoluzione della didattica in formato blended, vanno comunque osservati particolari accorgimenti, richiesti dal digital divide che non interessa il solo rapporto intergenerazionale, ma che percorre interamente anche la categoria – tutt’altro che monolitica – rappresentata dagli stessi studenti. È qui che viene in luce, in filigrana, il livello tutt’altro che omogeneo su cui si attesta la formazione degli insegnanti. A fronte di un livello diffusamente auto-dichiarato come elevato, si tenga presente lo iato sempre esistente tra la semplice frequenza ad attività formative e l’effettivo possesso di competenze, esercitabili in situazione. Inoltre, la Dad in forma blended deve poter trovare efficaci adattamenti a scenari fattuali diversificati, che richiedono “miscelazioni” differenziate. Si va dall’ibridazione della classe, parte in presenza e parte a distanza, all’ibridazione delle tecnologie con classe interamente in presenza, alla classe interamente a distanza, sino ai percorsi individualizzati (per il recupero degli apprendimenti, attività extra curricolari, gifted pupils) e alle metodologie diversificate in modalità flipped.

Al tempo stesso la Dad, per poter funzionare appieno, specie in situazioni limite come nel caso dei lockdown prolungati, richiede una riformulazione dell’impianto didattico complessivo del fare scuola. Non esaurendosi in una mera trasposizione digitale della didattica tradizionale, la Dad sollecita forme di cambiamento in profondità, anche di tipo organizzativo. Su questo versante, essa preme per il riconoscimento di una centralità effettiva accordata alle competenze rispetto ai distinti saperi, disciplinarmente codificati. Al pari, promuove un uso accorto e differenziato delle tecnologie disponibili, che oggi possono contare su una gamma particolarmente estesa di opzioni. Similmente, saranno il curricolo e il contesto scolastico a orientare una scelta quanto più possibile accurata delle metodologie, anch’esse in rapida crescita per articolazione e grado di fruibilità. Non ultima, la valutazione degli apprendimenti nei sistemi didattici di tipo blended sollecita una rinnovata attenzione verso gli aspetti di processo oltre che di esito finale, inclusa l’autovalutazione da parte degli studenti.

Non sempre in questi mesi il mondo della scuola ha evitato le distorsioni cui si è fatto accenno inizialmente, né è sembrato sempre tenere in considerazione gli accorgimenti ora brevemente richiamati. Ovviamente l’evoluzione della scuola verso forme “mature” di impiego delle nuove tecnologie a fini didattici non può limitarsi alla sola azione intrapresa dagli insegnanti, dagli studenti e dalle istituzioni scolastiche. Come per ogni riforma che non voglia rimanere solo sulla carta, lo sforzo in vista del cambiamento richiede un piano di intervento integrato, di tipo multi-attore e multilivello, oltre che forme di sperimentazione controllata che producano collaborazioni significative con le scuole e valutazioni partecipate dei risultati di volta in volta raggiunti.

Diversamente, sarà difficile uscire dai confini di una didattica a distanza più auspicata che realizzata. Con il rischio che essa si trasformi rapidamente da risorsa dal sapore palingenetico al bersaglio di un inevitabile rigetto, cui stiamo assistendo in questi giorni. Tuttavia, gettare il bambino con l’acqua sporca sarebbe un atto assai poco lungimirante e decisamente imperdonabile.

Nell’anno di Dante, in conclusione, più che E qual è quei che disvuol ciò che volle, vorremmo leggere Se tu segui la tua stella, non puoi fallire a glorioso porto.    

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