In questo inizio anno scolastico un grosso faro è stato acceso sulle conseguenze nefaste nei nostri bambini e ragazzi dell’uso prolungato e precoce dello smartphone e di tutto ciò che c’è dentro e dietro: app, social, chat, immagini, video, eccetera.

Il faro si è potuto accendere grazie ai risultati di recenti ricerche scientifiche, svolte su scala globale, che hanno mostrato con dati e casistiche tutto quello che già sapevamo, ma che facevamo finta di non vedere o che non avevamo avuto ancora il tempo di considerare: il cellulare fa male perché ha effetti negativi sulla psiche e sui comportamenti dei nostri bambini e adolescenti.



Gli psicologi e gli esperti elencano effetti ipnotici, disturbi dell’attenzione, deprivazione del sonno, deprivazione sociale, dipendenza (causata dalla collegata produzione di dopamina), mancata maturazione cognitiva, mancata maturazione di skills necessarie per affrontare relazioni e situazioni reali, fino alla non accettazione della realtà e di sé (con le connesse patologie più o meno violente) e alla depressione.



Questi effetti sono ben visibili a chi lavora con i bambini e i ragazzi, a volte in modo drammatico, ed è facile rintracciarne qualcuno, magari in misura minore, anche guardando a sé.

Quel che risulta compromesso è ultimamente la capacità di affrontare e accogliere la vita in modo completo, autentico e propositivo.

Sulla scorta di queste evidenze molti Paesi, seppur in forme diverse, hanno dato nuove disposizioni di legge e hanno proposto vari regolamenti per il mondo della scuola e dell’educazione. Anche in Italia una circolare del ministero dell’Istruzione e del Merito ha stabilito di non far utilizzare questi dispositivi agli alunni più piccoli dentro le mura scolastiche.



Del resto un legislatore cosa può fare di più?

Ma vale la pena fare un passo in più e chiedersi: cosa può invece fare un genitore, un docente, un educatore?

L’avventura ricomincia da qui: una volta tolti i cellulari, cosa resta ai nostri ragazzi? Che esperienza viene loro proposto di vivere? A scuola, a casa? In altri contesti di vera socialità?

Ecco che a questa domanda noi adulti siamo di nuovo inchiodati, di nuovo messi al muro per dare conto della bellezza della realtà e se da essa scaturisce una speranza! Più forte del mondo virtuale.

Possiamo mostrare che una gita in montagna è più bella di un videogioco? È vero che è più interessante parlarsi che scriversi un WhatsApp? È vero che possiamo essere così come siamo senza modificare il profilo social? Possiamo provare a mangiare un hamburger senza fare una foto? Possiamo accettare che un bambino disturbi senza mettergli la flebo virtuale dello schermo?

Detto per inciso, forse la cosa più negativa nel dare lo smartphone ad un bambino (quello suo o quello nostro) è pensare che questo ci esautori dall’entrare in rapporto con lui, e che così possa essere finito o rimandato il problema di educarlo.

Insomma, di nuovo e sempre il problema dell’educazione non riguarda innanzitutto i piccoli, ma noi grandi ed è un problema di regole (sacrosante e indispensabili), ma anche e soprattutto di proposta. Di nuovo dunque lasciamoci colpire con urgenza dalla chiamata senza confini degli adulti che, per i giovani, devono riprendere e far rinascere la creatività di esperienze familiari, di proposte educative, di modalità ricreative, di metodi didattici, di attività sportive, di impostazioni scolastiche che aprano al fascino della vita reale e alla scoperta del proprio essere infinito.

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