Nel discorso di apertura al Meeting di Rimini, nel delineare la strada verso la ricostruzione post pandemia, Mario Draghi si sofferma più volte sulla necessità di investire nei giovani e quindi sull’istruzione, settore essenziale per la crescita del nostro Paese, “dove la visione di un lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata”.  Se questo è stato sempre vero, ma non presente nell’agenda politica dei governi che si sono succeduti finora, la situazione attuale rende improcrastinabile un “massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore”. La scuola viene quindi chiamata in causa, in quanto agenzia educativa e formativa per eccellenza che riveste un ruolo essenziale nel preparare le nuove generazioni a saper gestire i cambiamenti e le difficoltà con saggezza e giudizio critico. 



A causa del Covid-19 e dell’imminente inizio del nuovo anno scolastico, il discorso sulla scuola è diventato uno dei principali argomenti di discussione politica (molte volte anche strumentale) e non solo: non c’è giorno che passi senza una notizia nuova o seminuova sulla scuola – banchi a rotelle, distanza di sicurezza, personale aggiuntivo, didattica digitale integrata… Gli interrogativi sono tanti, molte le problematiche, alcune vecchie quanto vecchia è la scuola, altre di nuova adozione e formulazione, tutte chiaramente degne di considerazione e valore. Sarebbe però necessario focalizzare l’attenzione e indirizzare realmente l’azione sugli studenti, “gli ultimi della catena” come sono stati riduttivamente definiti da un valido assessore all’Istruzione…



Sembra un paradosso ma nei dibattiti attuali mancano proprio loro, i convitati di pietra, le giovani generazioni – bambini, ragazzi e giovani – senza dei quali la scuola non avrebbe ragion d’essere. La nostra è, e rimane ancora una scuola “docentocentrica”, incentrata cioè sul personale docente e non docente, i cui diritti, seppur giusti e sacrosanti, sono preponderanti sul diritto all’istruzione di tutti gli studenti dal Nord al Sud, anche di coloro che sono più fragili. Garantire a tutti il diritto all’istruzione significa assegnare all’educazione un ruolo fondamentale nel preparare le nuove generazioni a rispondere alle sfide del nuovo contesto sociale, che richiedono conoscenze e competenze in continuo divenire.



Come ricorda ancora Mario Draghi, le culture e le nazioni che hanno gestito al meglio l’incertezza e la necessità del cambiamento hanno investito sulla preparazione dei giovani. La nostra scuola che investe poco sui giovani e che presenta molte situazioni di criticità acuisce inevitabilmente forme di disuguaglianza che diventano abnormi in alcune zone del Sud Italia con basse condizioni economiche, sociali e culturali.

Alcune tra le più importanti problematiche che diventano vincoli al superamento delle disuguaglianze sono:

• edifici scolastici e arredi inadeguati spesso adattati a spazi formativi, in alcune realtà territoriali;

• inadeguatezza dei trasporti extraurbani che comporta l’impossibilità da parte di studenti che vivono in zone non servite da pullman o treni nelle ore pomeridiane di usufruire di attività extracurriculari che arricchiscono l’offerta formativa;

• rigidità dell’offerta formativa che causa lo sviluppo abnorme dei Neet (giovani che non studiano e non lavorano).  Le performance negative sono legate per il 70% alle condizioni economiche e sociali;

• alto tasso di dispersione scolastica soprattutto negli istituti professionali e tecnici;

• risultati scolastici, ad eccezione della Puglia, sotto il livello della media europea e dell’Italia del Nord, così come rilevato dalle prove Invalsi e Ocse Pisa. Tale risultato nonostante il notevole dispendio di risorse economiche di progetti europei (Pon, Fse, Fesr) nelle regioni obiettivo convergenza;

• per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali, difficoltà a interagire in modo veramente costruttivo con i soggetti imprenditoriali del territorio che valorizzino il capitale umano e contribuiscano, insieme alla scuola, alla formazione imprenditoriale.

I fondi stanziati dal Governo a seguito della pandemia, pur necessari, non risolvono le criticità evidenziate, se la scuola non affronta in modo serio e consapevole il problema educativo. Non si tratta solamente di favorire la trasmissione di conoscenze e l’acquisizione di competenze, ma di trasmettere ciò che è indispensabile alle nuove generazioni perché siano in grado di esercitare e assumersi il rischio della propria libertà con coraggio. Da qui la centralità degli studenti affinché possano scoprire e mettere in gioco i propri talenti con responsabilità.

Occorre, dunque, una scuola intesa come comunità e affezione al bene dei giovani e della società che promuova una cultura viva con le forze del territorio perché, come ricorda infine Draghi, la mancanza di una qualificazione professionale potrà sacrificare la libertà di scelta dei giovani e il loro futuro.