Egregio direttore,
a prima vista, sembra un sequel dell’Attimo fuggente. Adolescenti ribelli e adulti autoritari, con un liceo “bene” di Venezia al posto di un college americano degli anni 50. Giovani che si ribellano al giudizio degli insegnanti; l’autorità costituita, qui nelle vesti dell’assessore regionale all’Istruzione del Veneto, Donazzan, che invoca la punizione per le disobbedienti. Ma le analogie con il cult movie di Weir si fermano qui. Nella vicenda di tre studentesse del Liceo classico Foscarini che si rifiutano di svolgere il colloquio orale previsto dagli esami di Stato perché ritengono di essere state penalizzate nella valutazione della prova di greco, c’è molto di squisitamente italico. Giovani brillanti, già con un piede all’università, ricevono un imprevisto trattamento nella seconda prova scritta, una traduzione da Platone: 10 insufficienti su 14, con valutazioni anche da tre. Proteste, clamore social, avvio di un’ispezione ministeriale per verificare se sono stati commessi errori o abusi. Agli ispettori l’ardua sentenza.
Il fatto mette a nudo le fragilità di un esame contestato da più parti, in cui entrano in gioco equilibri delicati: rapporti tra commissari interni ed esterni, criteri di giudizio, trasparenza delle valutazioni, meccanismi rigidi e riti obsoleti. Ci si chiede come sia possibile che una studentessa che durante l’anno raggiunge una media del 7, poi precipiti a 3 nella versione d’esame; è credibile che una singola prova ribalti l’andamento di tutto un triennio?
D’altronde, che senso avrebbe un risultato che confermasse pedissequamente il giudizio del curricolo? Non andrebbe colta l’occasione per ripensare seriamente alla composizione delle commissioni, alla formulazione delle prove scritte, alla struttura del colloquio, ai criteri di valutazione o, meglio ancora, all’esame in sé? L’impressione è che questo non sarà l’ultimo incidente sulla via di una riforma non procrastinabile dell’esame di Stato.
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