Il ministro Lucia Azzolina prende tempo e allontana il paese dall’Europa e dalla ripresa. Mancano poco meno di due settimane alla ripartenza parziale prevista per il 4 maggio, ma la scuola sembra messa ai margini del sistema paese.
Ieri, in una videoconferenza tra Vittorio Colao, il commissario che sovrintende alla preparazione della fase 2, e il premier Conte si è discusso di standard di sicurezza e filiere che saranno riavviate. Si parla di circa 3 milioni di persone che nel primo lunedì di maggio torneranno al lavoro. La scuola non è nel novero, né il 4 maggio, né il 18, stando alle dichiarazioni del ministro dell’Istruzione, che in più occasioni ha dichiarato che se ne riparlerà a settembre. In un question time di ieri Azzolina ha ribadito che la riapertura avverrà “quando la situazione epidemiologica lo consentirà, alle condizioni ragionevoli di sicurezza per tutti”.
Una posizione che lascia perplesse molte forze politiche di maggioranza e opposizione e non offre indicazioni certe sul rientro a scuola di circa 7 milioni e mezzo di bambini sotto i 14 anni. Il ministro, infatti, sembra non tenere conto di come l’istruzione, soprattutto del primo ciclo, sia strettamente legata al mondo del lavoro e sistema produttivo e scuola sono strettamente connessi. Un’indagine citata dal Fatto Quotidiano precisa che sinora in circa l’87% dei nuclei familiari presi in esame almeno uno dei due genitori è rimasto a casa con i bambini e solo per il 13% entrambi hanno continuato a lavorare fuori casa. Dopo il 4 maggio, con il rientro progressivo le difficoltà delle famiglie non dovrebbero allentarsi, anzi la necessità di portare i bambini nelle strutture scolastiche nella fascia 0-6 anni sarà ancora più impellente.
Il difetto di giudizio del ministero dell’Istruzione è sempre lo stesso. Deriva dalla visione centralistica e uniforme per cui la scuola è una e indivisibile da Palermo a Bolzano. La conseguenza nefasta di tale posizione riguarda in questo frangente proprio la tempistica della riapertura, che “deve” essere uniforme in tutte le Regioni. Invece l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane, coordinato dal suo direttore Walter Ricciardi, ha presentato una mappa differenziata sulla conclusione della fase 1 dell’epidemia. A uscirne prima saranno le Regioni del Sud, che potranno cominciare a vedere la luce “tra fine aprile e inizio maggio”; in particolare Basilicata e Umbria ne saranno fuori già dal 21 aprile, mentre il Lazio dovrà attendere il 12 maggio. A seguire ci sarà la Liguria il 14 e poi Veneto e Piemonte il 21 maggio. Emilia-Romagna e Toscana, secondo l’Osservatorio, non ne usciranno prima della fine di maggio e per ultima toccherà alla Lombardia, che vedrà probabilmente i contagi a zero alla fine di giugno.
Perché dunque non prevedere anche per la scuola una ripartenza scaglionata, tenendo conto di quella necessaria flessibilità per ora negata da chi guida il ministero di viale Trastevere? Sembra infatti sproporzionato che ad esempio i docenti e gli studenti di Basilicata e Umbria, già liberi in questi giorni dal Covid-19, debbano attendere altri quattro mesi per ritornare in aula.
Il ministero sembra in netto ritardo su tutti i fronti, dalla valutazione della didattica a distanza ai fondi straordinari per l’acquisto di strumenti digitali, da cui sono stati esclusi gli allievi delle paritarie, secondo il solito leitmotiv che i benefici spettino solo agli studenti della scuola statale.
Solo l’altro ieri il ministro Azzolina ha insediato la commissione di 18 esperti che devono formulare proposte sulla ripresa. Prima che inizi a funzionare passeranno altre settimane, ma la scuola italiana, statale e paritaria, ha bisogno sin da oggi delle indicazioni operative per permettere gli adeguati standard di sicurezza, ovviamente attuate in sincronia con altri settori, come quello dei trasporti e delle aziende pubbliche della mobilità urbana. Non può sorgere dal nulla una proposta che permetta la diversificazione degli orari di entrata e di uscita per evitare sia le concentrazioni di persone, che gli orari di punta.
Un altro ritardo macroscopico riguarda i protocolli di sanificazione, le procedure di smistamento degli alunni in spazi più ampi e le relazioni di vicinanza nel settore 0-6 anni. Insomma, per costruire una scuola più sicura, ma che sarà meno organica e più destrutturata, sembrano necessari livelli di approfondimento teorico e tecnico che tengano conto non della norma prodotta per tutti e attuata in modo sistematico, ma di un’elaborazione che punti maggiormente sulla versatilità.
È proprio sul criterio dello “stop and go” che altri paesi europei hanno puntato in questi giorni. Da tempo in Germania sono state proposte alcune procedure di riapertura diversificata tra i vari Länder e hanno deciso di riaprire i vari livelli di scuola a partire proprio dal settore infanzia e quello primario (4 maggio). Per loro flessibilità significa che nel momento in cui dovesse ripresentarsi il virus in una certa zona, si possano chiudere le strutture scolastiche per il periodo strettamente necessario.
Anche nella centralistica Francia la riapertura sarà attuata in modo flessibile: a partire dall’11 maggio a piccoli gruppi a partire dalla primaria e poi dal 18 maggio la secondaria. E comunque è già stata studiata una presenza in classe di soli 15 studenti. Oltralpe, dopo aver sconfitto la prima fase del virus, sembra che vogliano vincere anche il secondo tempo, per non causare ulteriori danni al sistema produttivo.
Se per il 2020 Goldman Sachs prevede per l’Italia una riduzione del Pil del 11,6%, per la Francia del 7,4% e per la Germania dell’8,9% ci sarà pure un motivo…