“Stiamo lavorando ad una scuola ‘affettuosa’, in cui si impari ad avere affetto per gli altri, in cui si costruiscano i rapporti con gli altri” ha detto qualche settimana fa il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, intervistato da Fabio Fazio nel corso della trasmissione Che tempo che fa. “Dopo anni di individualismo”, ha aggiunto il ministro, “ora bisogna tornare ad una scuola di affetti, in cui la socialità sia il modo di vivere insieme. Stiamo lavorando affinché la scuola permetta ai ragazzi di affrontare la complessità del mondo in cui il rischio di perdersi è alto. E questo non lo si fa da soli, ma insieme”.
Una scuola degli affetti e dell’insieme, dunque, quella verso cui ci si vorrebbe incamminare. È vero che gli ambienti scolastici hanno bisogno di diventare meno formali, più attenti ai bisogni formativi e al protagonismo di chi studia e le parole di Bianchi offrono autorevolmente al mondo della formazione una prospettiva nuova, necessaria per creare luoghi di relazioni significative. Una scuola “affettuosa” è una scuola che “va costruita con l’aiuto di tutti” ha detto ancora il ministro. “Su di essa dobbiamo mobilitare il Paese intero. Si parte dai più fragili. La scuola è lo strumento con cui ricostruiamo il Paese”.
A quale affetto si fa riferimento? Non pare l’invito all’esercizio di una pedagogia buonista, ma la sollecitazione all’adulto a mettere a tema il lavoro su di sé, all’esserci nella relazione con l’altro, sia esso il collega o lo studente. È pertanto un atteggiamento professionale suggerito agli adulti – e una consapevolezza a cui introdurre i ragazzi – che sottolinea lo scopo dello studio, che realizza sfide di apprendimento intense e generatrici, che promuove obiettivi di apprendimento adeguati, che suscita relazioni autentiche e legami di appartenenza.
Una scuola affettuosa è un ambiente capace di risvegliare nei ragazzi un’attrattiva verso il mondo del sé, della conoscenza, del fare e del progettare. Gli studenti vanno preparati a vivere nel complesso mondo del XXI secolo e ciò richiede, a chi insegna e a chi dirige le scuole, di passare da una stanca collaborazione professionale ad una professionalità collaborativa, capace di promuovere ambienti di apprendimento formali e informali, di attivare procedure che favoriscano acquisizioni di conoscenze significative, di qualificarsi nella continua elaborazione di curricoli formativi, di puntare sull’innovazione metodologica e sul miglioramento, sviluppando aperture all’interno della scuola e verso le realtà esterne che con essa collaborano.
È questo l’affectus di cui c’è veramente bisogno oggi nei nostri ambienti di formazione: la tensione di tutti a uno scopo comune, ricercato e sfidante, che ponga al centro il valore formativo dei contenuti disciplinari: quali di essi sfidano di più la ragione e la sete di verità nei ragazzi? Quali “ordinano” meglio il pensiero? Quali aiutano a maturare atteggiamenti e valori? E che sviluppi nei ragazzi le sei C: carattere, cittadinanza consapevole, collaborazione, comunicatività, creatività, pensiero critico (M. Fullan, 2019).
Non può esserci formazione senza unità di intenti e di azione negli adulti. È tempo allora di opporre all’individualismo che genera soggettivismi, divisioni e assenza di senso civico, una scuola degli affetti, cioè una comunità che continuamente apprende, una “comunità di comunità”, una “comunità di destino” – secondo l’intensa e moderna formula coniata da Gustave Thibon – dove la ricerca, le conoscenze e il sapere sono frutto dell’impegno di tutti. Il nostro Paese, reso più sensibile al mondo scolastico anche a causa dell’esperienza della pandemia, avverte oggi l’assoluta necessità di concepire in questo modo nuovo la proposta didattica ed i luoghi di formazione in cui attuarla.
È una sensibilità raccolta e rilanciata anche nell’ultimo paragrafo della Nota n. 491 pubblicata il 6 aprile dal ministero dell’Istruzione a firma del neo–capo dipartimento, Stefano Versari, che fornisce alle scuole indicazioni relative all’applicazione del Dl 44 su “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19”. Si tratta di una conclusione di “metodo” che invita i dirigenti scolastici e i docenti proprio ad accogliere e “contenere” questa nuova sensibilità educativa: “Il contenimento, che è com-prendere e che si realizza con l’abbraccio educativo, è quanto di cui ogni essere umano sente maggiormente la necessità. Soprattutto oggi, in cui l’abbraccio fisico è impedito”.
Un paragrafo insolito per una circolare ministeriale, ma intenso e significativo, nel quale si ricorda che “nel tempo attuale occorre proseguire l’impegno del mondo adulto che fa scuola e, in misura accresciuta di quello esterno alla scuola, a costruire con costanza e responsabilità spazi di relazionalità paziente”. Un tempo – prosegue la Nota ministeriale – in cui recuperare la virtù della prudenza che “non è lentezza, ma fare nel tempo dovuto” necessario “per la riflessione critica e per l’elaborazione dei complessi e dolorosi momenti che viviamo”.
Affetti e abbracci educativi, relazionalità e razionalità vissuta, professionalità e consapevolezze nuove, mai come oggi così decisivi e da agire da parte di tutti i soggetti implicati nell’avventura educativa. Dalle stanze ministeriali fino alle aule del più piccolo plesso scolastico di provincia.
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