Due gruppi di bambini di circa sei anni, che frequentano rispettivamente la scuola materna e la primaria, rispondono allo stesso compito assegnato loro in modi diversi a seconda di come l’adulto si presenta: rispettivamente come una signora a cui piace giocare con i bambini dell’asilo oppure come una maestra arrivata in classe per svolgere un’attività scolastica. Questo risultato, apparentemente sorprendente, emerge da ricerche condotte già negli anni novanta e incentrate sull’interazione comunicativa tra docenti e allievi in classe nella prospettiva di psicologia socioculturale dello sviluppo (tali ricerche, effettuate da Schubauer Leoni, furono poi replicate da Perret-Clermont e Iannaccone).
Come mai, di fronte allo stesso compito, i bambini rispondono e si comportano in modo diverso?
Per questi due gruppi di bambini, anche se il compito è formulato nello stesso modo, la relazione con l’adulto è diversa, la comprensione del contesto è diversa, persino l’interpretazione delle parole usate (il compito è formulato nello stesso modo) è diversa, influenzata appunto dalla comprensione di chi è l’adulto. Ricerche come questa, confermando in fondo tanti episodi che tutti abbiamo vissuto nella nostra esperienza scolastica di docenti e allievi, mettono in luce che, a scuola, la comprensione dei compiti a livello cognitivo non avviene in astratto, ma in una relazione comunicativa alla quale insegnanti e allievi partecipano come persone. La trasmissione stessa del sapere, anche tecnico, avviene in un modo dialogico, (almeno idealmente) argomentativo, che coinvolge gli allievi in modo intero: l’insegnante non parla alle menti ma alle persone.
Insomma, è nella natura della scuola che i contenuti siano discussi e costruiti nell’interazione comunicativa con gli adulti insegnanti e con la comunità della classe (di cui tutti abbiamo paradossalmente percepito l’importanza per la sua assenza nei lunghi periodi di didattica online). L’insegnante “spiega” (cioè metaforicamente, si assume personalmente il compito di aprire un sapere “piegato su se stesso” e renderlo piano, accessibile), “interroga” e si lascia interrogare, costruendo uno spazio di dialogo nel quale il progressivo appropriarsi delle conoscenze da parte degli allievi va di pari passo con la possibilità di mettersi in gioco come persona, fare ipotesi, dare e ricevere aiuto, accorgersi del valore del contributo degli altri e del proprio: aspetti, questi ultimi, che corrispondono a tratti non cognitivi della personalità.
Se partiamo da questi presupposti, possiamo osservare che mettere “persone, relazioni, valori” al centro della scuola attraverso il tema delle competenze non cognitive o character skills, come propongono Chiosso, Poggi e Vittadini in un volume già citato in queste pagine (Viaggio nelle character skills: persone, relazioni, valori, Il Mulino 2021) riporta al centro dell’attenzione importanti aspetti collegati alla relazione comunicativa, dai quali in realtà non è possibile astrarre il compito scolastico. In quest’ottica, la contrapposizione tra competenze cognitive e non cognitive, che spesso si ripresenta nel dibattito attuale, finisce per assottigliarsi: pensare al cognitivo fuori dal sociale, in fondo, è un’astrazione.
Evidentemente, reclamare uno spazio alle charachter skills nella scuola non significa soltanto trovare strumenti per misurare il livello di “possesso” individuale di queste competenze in un dato momento nel tempo. È soprattutto importante aprire un confronto su come la scuola può favorire lo sviluppo delle caratteristiche della personalità, costruendo spazi di dialogo e costruzione della personalità stessa, rispettando gli allievi come interlocutori argomentativi, favorendo quindi lo sviluppo di competenze come la fiducia, la stabilità emotiva, l’apertura mentale e il pensiero critico.
Si tratta di andare oltre al punto di partenza dal quale ogni allievo parte, fondato sulle sue condizioni personali e familiari, per favorire lo sviluppo della persona proprio grazie alle possibilità offerte dall’interazione vissuta a scuola. Le ricerche sul conflitto socio-cognitivo mettono in luce che il confronto tra posizioni diverse nell’interazione è uno stimolo per lo sviluppo cognitivo; questo accade, però, purché gli adulti si facciano carico della costruzione di uno spazio per il dialogo argomentativo.
Si tratta di uno spazio del quale gli insegnanti possono farsi promotori e garanti, per dire le proprie ragioni senza essere schiacciati dall’asimmetria con gli adulti o da dinamiche di gruppo non ben monitorate; uno spazio per imparare ad ascoltare le ragioni dell’altro senza paura di essere messi in dubbio personalmente. La scuola può costruire questo spazio per tutti, favorendo così lo sviluppo delle character skills in armonia con l’apprendimento dei saperi insegnati nelle diverse discipline.
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