In uno dei suoi intelligenti e spiritosi libretti, Di bene in peggio (Istruzioni per un successo catastrofico), lo psicologo e psicoterapeuta Paul Watzlawick ci racconta la piccola ma istruttiva esperienza del tredicenne austriaco Franzl Wokurka. Il quale, passeggiando in un parco, arrivò davanti a una grande aiuola piena di fiori, dove un cartello diceva: È vietato calpestare le aiuole. I trasgressori saranno puniti a norma di legge. Questo riattivò in lui un tipo di dilemma in cui si era imbattuto altre volte: rifiutare quell’imposizione “autoritaria” passeggiando sull’aiuola, col rischio di essere multato, o conformarsi al divieto per poi sentirsi un vigliacco?
“Si soffermò a lungo, indeciso sul da farsi, finché inaspettatamente – giacché non gli era mai capitato di fermarsi a osservare i fiori – gli venne un’idea completamente diversa: i fiori sono meravigliosi!”.
Franzl si era reso conto della possibilità di un’alternativa al conflitto sottomissione-ribellione. Divieto o non divieto, era lui a volere che l’aiuola restasse com’era, lui a voler proteggere la sua bellezza, lui a prescriversi il comportamento conseguente.
Come sappiamo, obblighi e divieti hanno patito una larghissima impopolarità – non sempre immeritata – negli anni della “contestazione giovanile”, o perché visti, in una prospettiva rivoluzionaria, come strumenti di adeguamento ai valori delle classi dominanti, o perché oggetto di una ribellione libertaria a un’educazione e a una morale vissute come oppressive. Gli apporti positivi di quella stagione all’evoluzione del costume sono indubbi. Ma lo sono anche i suoi effetti negativi sull’educazione, sulla scuola e sull’atteggiamento di molte istituzioni, i cui rappresentanti hanno in genere perso la convinzione e la determinazione necessarie a far rispettare le regole che garantiscono la convivenza civile.
Nonostante questo handicap culturale, l’apologo di Watzlawick offre agli educatori un punto di partenza per riflettere sulla cosiddetta “interiorizzazione” delle regole, cioè il farle proprie dopo averle rispettate, diciamo così, “per amore o per forza”. Franzl ci arriva per una sorta di improvvisa illuminazione; nella realtà si tratta di una conquista graduale, spesso non priva di regressioni. I genitori sono chiamati a esercitare la virtù della fermezza (quella che nella tradizione cristiana si chiama “fortezza”), che è radicata nella consapevolezza di perseguire il bene educativo dei figli e conferisce credibilità ai loro no e alle loro richieste. Col tempo si creano le condizioni perché in famiglia e a scuola si possano far riflettere figli e allievi sulle ragioni che rendono giusta una regola. E di fronte alle ribellioni dell’adolescenza si può in genere contare sulla cosiddetta “obbedienza ritardata” di cui parla Konrad Lorenz, quando non pochi figli finiscono per interiorizzare in buona parte i valori della generazione precedente, magari con gli aggiornamenti che una nuova epoca ha ritenuto necessari.
Dopo un percorso educativo sostanzialmente riuscito ci si allacciano le cinture di sicurezza perché (o soprattutto perché) si pensa che sia una misura ragionevole, più che per paura delle multe; e si coopera con convinzione alla raccolta differenziata dei rifiuti, pur sapendo che difficilmente saremmo scoperti in caso contrario. Si può anche arrivare a livelli di assoluta eccellenza, come una mia amica che in Sicilia, una volta salita su un autobus, si rese conto di non avere il biglietto e per di più non era previsto l’acquisto dal guidatore. Allora gli si rivolse impegnandosi a comprarlo appena scesa. E così fece, dopo di che lo strappò.
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