Il ministero dell’Istruzione e del Merito, con decreto n. 183 del 7 settembre scorso, ha adottato le nuove linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Esse sono indicate nell’allegato che contiene, sul piano educativo, la parte più pregnante del decreto stesso. Sono frutto di un lavoro impegnativo, volto a una trattazione esauriente, talché l’allegato appare denso di contenuti. Alcuni di essi sono perlopiù noti, costituiscono cioè un elenco di temi già trattati dalle scuole, altri sono più innovativi o comunque, proprio perché puntualizzati, determinano alcune novità di ermeneutica giuridica e pedagogica che possono significativamente riverberarsi nelle prassi educative.



La parte iniziale dell’allegato contiene i principi che devono ispirare e improntare l’educazione civica. Ovviamente essi riguardano la Costituzione, la cui conoscenza deve essere sviluppata sul piano degli apprendimenti, segnatamente esplicitando il taglio personalistico e quello valoriale, con riferimento ai diritti fondamentali di libertà, solidarietà, eguaglianza, ecc. Non si deve dimenticare, tuttavia, l’esistenza di un corrispettivo di doveri “di solidarietà politica, economica e sociale” cui si fa riferimento, sempre nell’allegato, seppur in maniera piuttosto rapida.



La “scuola costituzionale” – questa è la dicitura adottata, voluta da Valditara – dovrebbe altresì garantire l’inclusione degli alunni con disabilità, di quelli che presentano carenze negli apprendimenti, di chi non gode di eguali opportunità educative, di chi non conosce pienamente la lingua veicolare italiana, ecc. Tutto ciò all’interno dell’alleanza educativa tra genitori e insegnanti, che evidentemente deve essere ripristinata, dal momento che gli episodi di aggressione subiti da questi ultimi e raccontati dalle cronache ne denunciano il declino. Si ribadisce, quindi, l’importanza educativa del lavoro e si indica, sempre tra i principi, anche quello dell’idea di Patria, che trae fondamento dalla Costituzione.



Nel paragrafo successivo, dedicato espressamente a quest’ultima, si indica, in relazione all’ordinamento dello Stato, come essenziale la conoscenza dell’Inno e della Bandiera, rispettivamente nazionali ed europei. Ci si sofferma, poi, sull’importanza dell’educazione alla legalità e si ribadisce la centralità del lavoro (spesso posta in discussione, nel dibattito politico) ai fini dello sviluppo economico e della sostenibilità. Si elenca successivamente una teoria di educazioni, da quella alla salute a quella per la protezione della biodiversità, degli ecosistemi e della bioeconomia; dall’educazione alimentare al contrasto alle dipendenze (droghe, fumo, alcol, gioco d’azzardo…). Non manca, infine, l’educazione alla cittadinanza digitale, rispetto alla quale tutti i docenti sono contitolari.

A questo riguardo, dopo aver puntualizzato l’esigenza di verificare le fonti delle informazioni attinte dalla rete, si precisa che occorre evitare l’utilizzo di smartphone e tablet nella scuola dell’infanzia e del solo smartphone nella scuola primaria e secondaria di primo grado. Questa indicazione rappresenta una conferma della circolare dell’11 luglio scorso, che denuncia, fondatamente, il rischio per i giovani che l’uso degli smartphone comporta in relazione ai disturbi mentali.

L’insegnamento dell’educazione civica, in continuità con l’esperienza precedente, è trasversale, cioè può essere svolto individuando percorsi comuni a più discipline; in tal senso si offrono anche delle indicazioni metodologiche (laboratori, gruppi di lavoro collaborativi, service learning, ecc.). L’impegno annuale consiste di 33 ore, che dovranno essere pianificate dai docenti con appositi moduli di insegnamento sempre in un’ottica trasversale, favorendo cioè il dialogo interdisciplinare.

Saranno gli insegnanti coordinatori di classe a proporre la valutazione di ciascun alunno in sede di scrutinio, ma, dal momento che non si prevede alcuna carriera per gli insegnanti, resta da capire perché alcuni docenti dovrebbero accettare di assumere un tale ruolo. I criteri di valutazione dovranno essere deliberati dal collegio e inseriti nel piano triennale di offerta formativa. Per quanto riguarda l’infanzia, con una certa temerità ci si sofferma sui giochi di ruolo ai fini del raggiungimento, da parte del bambino, di varie acquisizioni, tra cui quella di “scambi e baratti”, anche simulando forme di compravendita.

In fondo all’allegato, alcune tabelle indicano i traguardi di sviluppo delle competenze per i vari ordini e gradi di scuola. En passant, si fa presente che, nei vari ambiti di apprendimento, gli adulti devono essere modelli di comportamento, soprattutto capaci di mantenere viva la discussione e contestualmente la collaborazione e la cooperazione (vien da chiedersi se le continue sanatorie che producono l’immissione in ruolo di docenti e di presidi corrisponda alla costruzione di quei modelli ideali).

Dal punto di vista giuridico, le linee guida sono in generale uno strumento che fornisce indicazioni e raccomandazioni su come applicare le leggi. Esse non hanno la stessa forza vincolante di queste ultime, ma, in un eventuale procedimento giudiziale, possono essere tenute in considerazione per valutare la conformità delle prassi applicative. In sostanza, esse possono influenzare le procedure amministrative e le decisioni giuridiche. Da qui discende la caratteristica specifica di queste linee guida, che elencano una molteplicità di educazioni, tra le quali si possono compiere delle scelte. Le tabelle in cui si definiscono i traguardi, unitamente al monte di 33 ore obbligatorio (questo sì), definiscono un solco al cui interno le scuole devono muoversi. Da questo punto di vista c’è da chiedersi se non sarebbe stato più opportuno demandare in toto alle scuole autonome il compito di elaborare i percorsi di educazione civica, ponendo, da parte ministeriale, solamente dei traguardi verificabili.

Analogamente c’è da interrogarsi sulla logica di queste numerose, seppur apprezzabili, educazioni, che attribuiscono pacchetti di ore (curricolari e non) ai vari interventi, come quelli dei docenti tutor e orientatori. Si ha la sensazione di una frammentazione del discorso educativo la cui forza complessiva dovrebbe risiedere soprattutto nel prestigio del soggetto che ne è protagonista e cioè della singola scuola. Varrebbe la pena, per evitare la dispersività degli interventi, di cercare di dotare la scuola di una maggiore autorevolezza come soggetto educativo, organizzato e istituzionale. In tal senso, dovrebbero essere riviste le fondamenta della sua governance interna, e cioè la struttura dei decreti delegati, sopravvissuta a mezzo secolo di cambiamenti dell’intera società, che oggi appare assolutamente obsoleta.

Apprezzabili alcuni contenuti acclusi nel vasto elenco delle linee guida, come quello di Patria e quello relativo alla conoscenza dell’Inno e della Bandiera nazionali. Come ha osservato Vittorio Emanuele Parsi (Madre Patria, Bompiani, 2023), dopo l’8 settembre ’43 l’idea di Patria, quella risorgimentale, è venuta meno con la sconfitta militare, lo sfaldamento delle istituzioni statali e il completo sbandamento dell’esercito. Poi il residuo fantasmatico di una tale idea è stato rivendicato come patrimonio particolaristico di chi, da destra, continuava a riconoscerla solamente come eredità del Ventennio e di chi, da sinistra, la collocava, anche in questo caso privatizzandola, nella scia della Liberazione del 25 aprile 1945. Si tratta, oggi di restituire a una tale idea la dovuta dignità, che non può essere quella di una parte politica, ma anzi quella inclusiva di tutti gli Italiani che, a partire dall’8 settembre, ne sono rimasti orfani. Da questo punto di vista, è apprezzabile che essa sia riproposta oggi nelle scuole.

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