Da un osservatorio limitato – sono una (ex) insegnante di latino e greco – noto che vari studenti che già hanno compiuto almeno la metà del percorso scolastico della scuola secondaria superiore stentano a orientarsi tra aspetti elementari della lingua latina e/o greca, senza conoscere forme verbali o desinenze che dal primo anno dovrebbero essere note e familiari. Del resto tutti i commenti relativi alle recenti prove Invalsi rilevano che l’onda lunga dell’isolamento causato dalla pandemia si fa ancora sentire.
È chiaro che il peso di questa situazione non è nel fatto che lo studente non possieda nozioni elementari, ma nel vuoto educativo, cioè di crescita umana, che la situazione di pandemia del recente passato ha contribuito a far emergere e ad allargare a dismisura. Nella scuola infatti l’educazione passa prima di tutto attraverso le varie discipline di studio, ciascuna con il proprio metodo di indagine e con propri obiettivi; viceversa, il venir meno dell’impegno di studio porta a un impoverimento umano, alla difficoltà di leggere la realtà e di impegnarsi con essa.
Quei mesi di sospensione hanno fatto emergere anche in ambito scolastico l’intera (o quasi) gamma delle possibilità umane, dallo studente (ma anche dal docente!) diventato immediatamente un oggetto stealth (abilissimo a non lasciarsi intercettare neppure dal più accanito professore o dal più sofisticato strumento elettronico) a quello che, trovandosi costretto perennemente in casa, invece di cucinare torte a raffica o fare ogni giorno la pasta all’uovo si è dedicato con profitto allo studio di un’ulteriore lingua straniera o all’esplorazione di argomenti non previsti dall’iter scolastico. Tuttavia non è difficile imbattersi in articoli di opinionisti che valutano come catastrofica e dissennata la scelta governativa che ha portato a circa un anno e mezzo di lezioni a distanza (non è facile quantificare con precisione, perché anche negli sporadici momenti di didattica in presenza le singole classi o il singolo alunno si collegavano a distanza quando un membro della classe stessa, o un contatto stretto del singolo, risultava positivo al virus); probabilmente (o forse è solo una speranza di pochi?) se dovesse capitare in futuro un’altra situazione di pandemia le scelte sarebbero diverse, dato che sono palesi a chiunque abbia a che fare con ragazzi di età scolare le difficoltà personali e le voragini di incompetenza di troppi studenti.
Chi oggi si iscrive al quinto anno di una scuola superiore, nel febbraio 2020 era a metà del primo anno della medesima scuola; e forse ancor più di loro sono stati segnati i bambini e i ragazzi che hanno iniziato un nuovo ciclo scolastico nell’ottobre 2020 (quelli che nel prossimo autunno frequenteranno rispettivamente la quarta elementare, la prima e la quarta superiore), perché si sono trovati di fronte alla novità di un percorso scolastico senza conoscere dal vivo i compagni, gli ambienti, i docenti: mi chiedo anche come siano riuscite le maestre, a cui va tutta la mia ammirazione, a comunicare con bambini che non le avevano mai viste e a insegnare loro qualcosa attraverso l’uso di un device che forse i bambini stessi non sapevano utilizzare.
Non entro in merito rispetto all’opportunità dell’indicazione ministeriale in base alla quale nel giugno 2020 tutti gli studenti sono stati promossi: noto però che questa indicazione – che sembrerebbe comunque partire da una sfiducia nei confronti del corpo docente, che non sarebbe stato adeguato a tutelare l’interesse reale degli studenti – ha ostacolato (anzi di fatto annullato) la possibilità di riorientare chi magari aveva scelto la scuola superiore non adatta a sé (perché nessuno studente, se promosso, decide di cambiare ordine di scuola!), senza per altro che nell’anno successivo si potessero fornire supporti per rendere più solide le capacità dello studente in difficoltà.
Come accennavo, nel mio pur ristretto ambito di conoscenze ho dovuto rilevare, per esempio anche in studenti iscritti al quarto o quinto anno del liceo classico, la generale mancanza della strumentazione che si ritiene necessaria per accostare un testo in lingua originale antica (latina o greca). Certo si tratta dell’aspetto più arduo di materie da sempre guardate dai più con diffidenza se non con ostilità; eppure l’esperienza mi dice che si può imparare a tradurre e che proprio la capacità traduttiva acquisita trascina con sé tante abilità utili: utili nello studiare ma anche nel (gusto di) vivere.
Credo sia molto difficile, e probabilmente neppure molto produttivo, compiere un’analisi esauriente delle cause che hanno prodotto questo impoverimento umano, perché le situazioni di ciascuno studente differiscono davvero molto tra loro: occorrerebbe tener conto di troppe variabili. Con realismo dostoevskiano però oserei dire che di questa situazione siamo tutti, almeno un po’, responsabili. Infatti il comportamento di ciascuno ha un peso sociale, perché influisce sulla rete di rapporti in cui ciascuno interagisce: perciò abbiamo tutti una piccola o grande responsabilità dello sfascio, quando abbiamo lasciato che la crepa dell’indifferenza, o del non senso, prevalesse sull’interesse per la realtà che abbiamo lasciato scorrere, secondo una scelta di comodo. Ma nello stesso tempo, specularmente, mi sembra di poter dire che tutti possiamo avere ora un ruolo positivo o addirittura determinante: possiamo essere protagonisti, almeno un po’, della ripresa educativa.
In sostanza nessuno ha una soluzione già pronta e confezionata; non è mio compito (per mia fortuna!) legiferare, ma è compito di ciascuno essere responsabile della propria vita e con ciò stesso sostenere il percorso altrui, dei giovani e dei meno giovani: già il solo fatto di affermare che la vita è un compito mette in campo una posizione culturale interessante per quanto spesso impopolare o minoritaria.
La differenza quindi – lo sappiamo – la fa la persona: per il prossimo anno scolastico è prevista dalla legge la figura del tutor di classe (veramente in passato tante scuole paritarie, prima di essere costrette a ridimensionare l’organico, o addirittura a chiudere per motivi economici, per anni lo hanno avuto!), ma non sarà certo una disposizione ministeriale a creare un sano rapporto educativo, in cui lo studente si senta guardato, accolto nel suo bisogno e stimato nel suo tentativo. Chi potrà fare la differenza sarà quella notevole maggioranza di insegnanti che, nella pochissimo considerata scuola italiana, sente la responsabilità della propria vita e del proprio lavoro, e con questo sa e saprà riappassionare i propri studenti alla vita e quindi alla conoscenza, nonostante essa debba passare anche dalla fatica dello studio.
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