La vicenda storia ed esame di maturità sembra essersi conclusa felicemente con il ripristino dell’osteggiata traccia; ma chi ha ideato questo ennesimo eufemismo scolastico? In realtà gli autori dell’improvvida decisione qualche ragione l’avevano. Gli sfortunati insegnanti correttori dei temi di maturità ricordano bene infatti che i candidati che sceglievano il tema di storia potevano contarsi sulle dita di una mano e che i loro prodotti, tranne rare eccezioni, consistevano in sintesi di informazioni – per carità, meglio di niente – cui venivano talvolta accostate opinioni personali, non sempre fondate su letture critiche. Comunque sempre meglio dell’effusione di banalità benintenzionate tracimanti dal tema generalista.



Il problema dell’apprendimento della storia nella scuola italiana è però ben più grave. E qui si parla sopratutto della secondaria di primo e secondo grado, perché nella primaria il focus è comunque sugli apprendimenti strumentali di base.

Sembra ancora ben incardinato il principio sulla base del quale il De Sanctis pensò di costruire il curricolo dopo l’Unità, usando come asse la storia della letteratura, unico elemento comune fra i cittadini dei vari staterelli di cui era composta la penisola. Gli insegnanti di lettere cui viene affidato per lo più l’insegnamento della storia sono e si sentono in grande maggioranza insegnanti di lingua e letteratura. Per altro verso nei licei la storia viene abbinata alla filosofia e gli insegnanti se ne sentono per lo più i cultori. Negli ultimi decenni sono state aperte nel nostro paese corsi di laurea in storia, ma per loro laureati è stato problematico l’accesso alle cattedre “miste” di cui sopra.



In altri paesi le cose stanno diversamente. In Francia la tradizione dell’histoire-géo è prestigiosa, epistemologicamente ben distinta da quella degli studi letterari e gode nelle scuole di uno statuto solido. In Gran Bretagna è forte il ruolo delle scienze sociali tipiche del mondo anglosassone, ma la tradizione dell’insegnamento della storia a livello universitario è parimenti solida. Gli studi in questo campo nelle prestigiose università di Oxford e Cambridge formavano i funzionari di medio ed alto livello (mondo diplomatico, etc.). Ancora oggi un’indagine svolta fra i Ceo dell’industria britannica ha rivelato che, a livello della loro formazione terziaria, la laurea in storia è al quarto posto.



C’è poi forse anche un problema didattico. Negli anni Settanta, sulla scorta dell’influenza di filoni di pensiero e di studio diversi, quali il marxismo, lo strutturalismo ed anche la scuola francese degli Annales si è accantonata la tradizionale narrazione politico-diplomatico-militare (la storia évenementielle) e l’impostazione per “medaglioni” tipica della scuola primaria. Nei paesi anglosassoni, poi, si è passati direttamente alle scienze sociali che, anche sotto l’influenza dell’antropologia (Levi-Strauss), hanno concentrato l’attenzione sugli elementi strutturali delle società. Un interessante testo del 2002, Getting it wrong from the beginning di Kieran Egan della Simon Fraser University, Columbia Britannica, sostiene che questa impostazione razionalistica non riesce a suscitare l’interesse dei ragazzi e soprattutto dei bambini della primaria, che sarebbero invece catturati da narrazioni che pongano al centro i diversi personaggi con le loro caratteristiche appassionanti. È comunque una tesi su cui riflettere.

Il problema dell’appeal della storia come insegnamento base del curricolo ha però radici più profonde. Siamo appena usciti da un secolo in cui la grande scommessa per il futuro dell’umanità consisteva nel cambiamento delle strutture della società umana e la conoscenza della storia garantiva l’infrastruttura di base e l’ispirazione fondamentale. Ma i tentativi di costruire società umane ideali – secondo evidentemente le diverse direttrici di pensiero –nel secolo precedente hanno causato disastri che la tradizionale cultura storico-umanistica non è stata in alcun modo in grado di prevenire e neppure di arginare. E l’attuale evidente miglioramento delle condizioni dell’esistenza umana non è venuto di lì, bensì dalla scienza e dalla tecnologia. Donde il focus attuale su quelle che vengono definite le conoscenze strumentali di base e quelle scientifico-tecnologiche, anche se queste ultime sembrano essere meno attrattive per i giovani nel viziato Occidente che per quelli dell’East Asia in sviluppo.

Ma un mondo senza conoscenza della propria storia è pericoloso. Per tutti, perché viene a mancare la capacità di collocare la propria identità culturale nel suo contesto temporale e spaziale, in tal modo assolutizzandola, con risultati problematici. Per le élite che dovrebbero guidare le comunità umane, perché decisioni prese concentrandosi solo sul presente non sempre risultano vincenti.

Non basta perciò ripristinare il tema di storia per evitare la diffusione crescente di un disinteresse e di una scarsa conoscenza nei suoi confronti che non promettono nulla di buono.