In tutto il sistema dell’istruzione si punta alla drastica riduzione della durata della Transizione scuola-lavoro (Tsl). I dati, soprattutto del Meridione, continuano ad essere una tragedia, rispetto agli altri Paesi, e non solamente quelli più avanzati. Una Tsl elevata è causa diretta, o almeno concausa, di fenomeni negativi, legati alla presenza:
– dei giovani – tra i 15 e i 29 anni – che non studiano, non sono impegnati in corsi di formazione e non lavorano (Neet). Oggi con la pandemia sono aumentati dal 22,1% del 2019 al 23,3% nel 2020, dato peggiore in Europa, con quasi 10 punti oltre la media della Ue a 27 Paesi (13,7%), pari a 2,1 milioni;
– dell’abbandono scolastico, con il 13,1%, sopra la soglia cioè del 10% prevista quale obiettivo del 2020, e in fondo alla graduatoria europea, davanti solo a Malta (16,7%), Spagna (16%) e Romania (15,6%).
La riduzione drastica della Tsl è urgente a tutti i livelli scolastici che portano lo studente al conseguimento di un titolo che consentirebbe lo sfruttamento immediato delle occasioni di lavoro. Ovviamente l’argomento è pienamente considerato nel Pnrr con l’indicazione delle sinergie derivanti dall’impegno dei fondi della Missione 4 – Istruzione e Ricerca nella grande Area (Pilastro) delle Politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani, e dai fondi esterni al Piano.
La riduzione della Tsl è come un vero e proprio grimaldello da organizzare per forzare il sistema di ostacoli all’apprezzamento del titolo di studio: è un indicatore che suggella il successo del processo educativo in fase di studi e dove l’azienda, alla fine, è quella che comanda il gioco, non solo sui tempi di inserimento, ma anche sui salari, sulla carriera eccetera (intelligente posizione di Pietro Ichino a parte).
L’uovo di Colombo, una soluzione facile a un problema apparentemente impossibile, è la centralità della docenza aziendale, quale nucleo peculiare negli Istituti tecnici superiori (Its). Lo sparuto esempio che fa da modello, e che oggi viene proiettato dal Pnrr, è appositamente normato da Draghi e Bianchi, in un testo in revisione alla Camera. Gli Its esistono da più di 50 anni, il nòcciolo è che l’azienda forma i propri diplomati e li assume. E qui la Tsl è “serrata”, ha tenuta stretta.
Utilissime le ricerche sulla Tsl di studiosi del mercato del lavoro, con dati Eurostat, Ocse eccetera, che connotano molteplici ostacoli, non eliminabili nel panorama mondiale. Prevale, nell’ipotesi base, che in media i due operatori, formativo e imprenditoriale, sono indipendenti – leggi: hanno scarse intersezioni –, e quindi il tempo della Tsl è un indicatore importante per la comparazione internazionale fra statistiche dei Paesi e delle Regioni. A livello internazionale, le scuole di eccellenza, quotate, con proprie graduatorie – ad esempio, FT, Financial Times, e QS, Quantum Salis – lo hanno superato da tempo, con i corsi di tipo executive, destinati dalle multinazionali alla selezione dei quadri interni. Anche qui la Tsl è “serrata”, anzi ha tenuta strettissima.
Una piccola digressione merita la riforma della destra gentiliana, di “ripartenza” di tutte le forze politiche, che aumentò gli investimenti scolastici nel breve periodo (1922-1924, fino al delitto Matteotti) del proprio ministero, ma poi le forze parlamentari portarono avanti quella medesima impostazione con Casati, ancora fino al 1930. Perché? Risultò rafforzata la classe borghese preesistente, ma, più propriamente, si generò la classe degli intellettuali (i laureati) – quindi al di là dell’ideologia politica dei proponenti.
Di tale classe la società italiana aveva ormai bisogno almeno per due motivi: 1) per costruire le condizioni per l’abbandono, certamente non ancora completo, di una serie di negatività quali, ad esempio, il tarlo dell’analfabetismo; 2) per definire il percorso che portava alla laurea, operando la costruzione di un ulteriore scalino nel livello che andava ad alimentare il tronco piramidale medio-alto dei titoli di studio così da assicurare la selezione della classe dirigente adeguata.
Tale drappello di intellettuali, non toccati dai Neet né degli abbandoni, poteva permettersi il lusso di fronteggiare tempi di Tsl elevati – basti pensare alle professioni liberali –, grazie alle famiglie disposte a sostenerli adeguatamente e a scommettere essi stessi sulla fruizione di salari differenziali, più alti, dopo una fase formativa più impegnativa. In questo caso la Tsl era “mollata”.
Poi con l’università di massa, l’ampliamento del numero dei laureati e l’arricchimento dello spettro dei corsi di laurea – per molti frequentanti dei quali il titolo, ancora oggi, costituisce un ascensore sociale – si sono inglobate persone provenienti da classi sociali variegate, da famiglie meno disposte a sopportare lunghi tempi di Tsl, con futuri laureati che, anche se non hanno abbandonato, si sentono comunque demotivati, spesso costretti a emigrare all’interno del paese o all’estero, per la crisi produttiva in Italia, alimentando la cosiddetta “fuga dei cervelli” – ma si tratta anche di laureati non sempre di qualità (learning by doing) – a differenza dei minori casi nelle generazioni precedenti. In questo quadro la Tsl non è “molle”, né “stretta”, ma ha il compito di indicare le convenienze lavorative.
Il “problema” della Tsl, per dirla in breve, si è concentrato nelle parti medio-basse della graduatoria della classifica piramidale delle occupazioni, prevalentemente di tipo professionalizzante, contrapposte alle lauree. I tempi della Tsl mediamente più lunghi e un numero più elevato di “tentativi” di ingresso, almeno inizialmente, per trovare l’aggiustamento “reciproco” tra il lavoratore formato e l’impresa che lo accoglie.
Tra l’altro, la ripartenza gentiliana influì nello scollegare, anche molto dopo, il ruolo professionalizzante della scuola ai livelli più bassi e creò il nuovo percorso della “scuola media” con esame di ammissione dalla licenza elementare parallelo al vecchio percorso dell’avviamento professionale, che portava direttamente i giovani ad aprirsi ad un futuro lavorativo, sia femminile che maschile, di tipo professionalizzante, variamente organizzato in base alle abilità acquisite e cadenzato nelle sue tappe evolutive delle abilità richieste e acquisite: il termometro della Tsl misurava così la bontà delle scelte di studenti e imprese.
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