Si sa: secondo il vecchio detto popolare, ciò che esce dalla porta potrebbe essere destinato a rientrare dalla finestra; o ancora: se si chiude una porta, si apre un portone. Così è stata per la lingua latina, che con passo felpato è rientrata nel cursus studiorum dell’Università Statale di Milano come materia “obbligatoria” per studenti del primo anno dei corsi di laurea in Lettere, Scienze dei beni culturali e Storia a partire dal prossimo anno accademico.
La gestione di tali corsi, erogati in maniera blended, è affidata al Centro linguistico d’ateneo Slam che organizza – è abbastanza significativo del salto culturale avuto dalla lingua classica nel mondo del terzo millennio – corsi di lingue moderne ed italiano come L2 per stranieri.
Come si legge sul sito, “l’insegnamento della lingua latina prevede che gli studenti raggiungano determinati standard, ossia un certo livello di conoscenze e di competenze stabilite”. È altamente significativo che si usi la parola “standard” al posto di “traguardi”, usati, ad esempio, nelle “Indicazioni nazionali” per il primo ciclo e per la scuola secondaria di secondo grado del sistema formativo italiano.
Ma ripercorriamo in breve la “cacciata” della lingua latina dal tempio della scuola italiana.
Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, in Italia, divampò un lungo e articolato dibattito sull’insegnamento del latino a scuola tra latinisti e pedagogisti che assunse anche connotati politici, facendo “schierare” i partiti: il centro-destra si pose su una linea di difesa del latino, rappresentando una tradizione che voleva conservare ciò che dell’impianto gentiliano aveva lasciato inalterato la riforma Bottai del 1939; la sinistra, invece, con qualche dissenso all’interno, ne auspicava l’eliminazione, come per esempio l’illustre latinista Concetto Marchesi, che fu anche deputato della Repubblica.
Questa “spaccatura” era il riflesso di visioni diverse di più ampio orizzonte: la prima, ambendo a una scuola selettiva, denunciava il rischio di un appiattimento che sarebbe derivato da una scuola media unica, determinando nella realtà dei fatti lo spostamento della vera “selezione” sociale nella tipologia di scuola superiore di chi avrebbe proseguito gli studi; la seconda aveva come scopo una scuola media di base uguale per tutti i cittadini, senza valutare gli effetti potenziali ma realistici di tale scelta (il livello culturale non poteva essere mantenuto alto per tutti).
La discussione si protrasse fino al 1962 quando un governo di destra, ma appoggiato dal centro-sinistra, decise l’istituzione della una scuola media unica, raggiungendo un compromesso per il latino: la lingua ciceroniana era inserita nel programma di seconda media ed era facoltativa in terza, riservata cioè a coloro che sceglievano di proseguire gli studi.
Il latino, nell’opinione comune, continuava a rimanere uno “status symbol” in quanto coloro che sceglievano l’insegnamento facoltativo del latino si prefiguravano già élite destinata alla prosecuzione degli studi fino ai livelli più alti, poiché fino alla promulgazione della legge 910/1969, nata sull’onda delle proteste dei movimenti giovanili del Sessantotto, l’accesso a tutte le facoltà universitarie era garantito dal diploma del solo liceo classico.
Ma la riforma della scuola media unica non determinò un cambiamento reale, perché essa “non fu recepita nel suo significato da una classe docente del tutto impreparata e sul piano didattico, e sul piano metodologico” (Pittano).
Ci fu infatti chi continuò a insegnarlo come prima, e c’è chi lo abbandonò del tutto, a detrimento degli studenti che avrebbero proseguito gli studi alla scuola superiore, che, non riformata, pretendeva una preparazione pregressa che non veniva più offerta con certezza.
Nel 1977 l’insegnamento del latino venne completamente abolito nella scuola media inferiore e vennero introdotte nuove materie come educazione tecnica e musicale. Per il latino, si parlò del “rafforzamento” dell’educazione linguistica attraverso un più adeguato sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana – con riferimenti alla sua origine latina e alla sua evoluzione storica – e delle lingue straniere, come poi verrà specificato nei programmi della scuola media nel 1979.
Infine, venne la Riforma Gelmini che nel 2011 tagliò il monte ore della lingua latina in tutti i licei del Belpaese, come tutti possono ricordare data la vicinanza cronologica, salvando dalla scure “latinicida” solo il liceo classico.
Adesso la lingua latina sarà di nuovo, obbligatoriamente, nel curriculum studiorum degli studenti di Storia e Scienze dei beni culturali: assisteremo, dunque, a un interessante fenomeno socio-cultural-linguistico, quello della “standardizzazione” dei novelli latinisti.