Difficile obiettivamente dissentire dalle dichiarazioni di Camilla Sgambato, responsabile scuola del Pd, fatte ieri al Senato in sede di varo della nuova legge sull’educazione civica a scuola. E difficile è pure condividere gli osanna di certi editoriali di quotidiani di oggi che vedono nell’approvazione della legge l’inizio di un futuro radioso per gli esiti che i nuovi programmi produrranno nella maturazione dei futuri cittadini.



Una lettura attenta del testo e un accurato confronto con quanto previsto dalle norme precedenti in materia non può non darle ragione, come d’altronde i presidi di Disal avevano già sostenuto in sede di audizioni parlamentari.

Se si guarda al programma di educazione civica cui erano obbligati i docenti di storia nelle scuole superiori o a quello di “cittadinanza e Costituzione” (abrogato dall’attuale legge), non si notano differenze sostanziali, tranne alcune terminologie. Lo stesso numero di ore non muta in alcun modo rispetto a quanto previsto dalle norme abrogate: tra l’altro l’attuazione effettiva delle previste 33 ore annuali è demandata all’accordo tra docenti nel consiglio di classe.



Almeno prima era individuato un ben preciso docente obbligato a trattare gli argomenti ed a tenerne conto nella propria valutazione didattica finale. Certo: altra questione è quanto veniva fatto, problema che si presenterà anche con la nuova norma. Nella nuova legge occorrerà che i docenti di un collegio intero (si tratta di programmi pluriennali) e quelli di tutti i singoli consigli di classe si mettano d’accordo a chi tocca che cosa.

La rotorica domina sempre di più la scuola italiana, come però è tante volte accaduto in passato, quando, su diverse questioni, è bastato cambiare nome di materie, personale o altro per far credere che si cambiava realtà.



Come già segnalato da molte associazioni professionali alla Commissione Istruzione al Senato, l’unica novità starebbe nella comparsa di un voto in sede di valutazione finale, voto che dovrebbe però derivare da una mediazione sempre frutto di accordi tra i membri del consiglio di classe. Voto che andrebbe in pagella, senza specificare se questo voto dovrà far parte o meno di quelli da utilizzare per decidere la promozione o la bocciatura di fine d’anno.

Cosa non di poco conto, visto che il vastissimo programma indicato dalla legge (che saggezza vorrebbe da spalmare su diversi anni) presenta molte tematiche che coinvolgono visioni morali diverse, letture culturali (quando non ideologiche) di fenomeni che non potranno non tener conto del rispetto necessario di un pluralismo di vedute. Per molti dei temi trattati (si pensi alla tutela delle identità, all’educazione alla legalità ed al contrasto alle mafie, all’educazione al benessere e alla salute, all’educazione al volontariato) non è possibile identificare un patrimonio culturale condiviso tra i diversi orientamenti culturali del paese. Come si porrà allora il rispetto delle differenti visioni culturali e familiari?

D’altronde, più in generale, come valutare positivamente le scelte scolastiche dell’attuale governo nella loro incidenza sui livelli di istruzione e formazione, quando, a fronte della retorica sull’educazione civica e sulle nuove norme sull’inclusione, abbiamo invece visto il dimezzamento delle ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro alle superiori, il dimezzamento dei relativi finanziamenti, il taglio dei finanziamenti al bilancio dell’istruzione, il taglio di finanziamenti all’Invalsi, la (per ora) solo rinviata eliminazione dei sistemi di valutazione dei livelli di apprendimento in atto nelle scuole del primo e secondo ciclo?

Si è trattato di scelte di intervento reale, che avranno conseguenze sulla preparazione dei nostri giovani alle sfide del mondo.

A fronte di questi danni resterà il serio problema di un sistema scolastico in degrado, di esiti finali troppo differenziati nei territori, di ambienti e contesti educativi capaci di comunicare valori ideali, buone motivazioni ad un impegno positivo.