Io me lo immagino il mio amico Giuseppe davanti al video del pc con la faccia delle sue colleghe e dei suoi colleghi nei 100 francobolli che la piattaforma regala. Era lì per il collegio cruciale, quello in cui si davano indicazioni, chiarimenti, prospettive sulla nuova versione della pagella delle scuole elementari. Adattata in quattro e quattro otto per ottemperare la legge che prevede la sparizione dei voti e l’introduzione dei giudizi.
E quando la preside ha finito il suo entusiastico lavoro di spiegazione davanti a un uditorio attento e visibilmente soddisfatto, lui ha chiesto subito la parola.
Perché tutta questa soddisfazione, perché questo tripudio? Lui ricorda i suoi anni 80, naturale. Naturale che qualche telecamera si spenga: Giuseppe parte con il cassetto delle memorie e forse qualcuno non le vuole ascoltare. Ricorda i concorsi, lo studio degli studi americani o inglesi sulla programmazione, con gli obiettivi di apprendimento, i metodi, gli strumenti, la valutazione dettagliata in itinere e sommativa. Ricorda le doppie pagine di fogli protocollo con le tabelle tirate con la riga e la matita, perché l’excel non c’era ancora.
Qualche altro collega nel frattempo chiude la telecamera e va a farsi un caffè.
Giuseppe intanto ricorda come si passassero ore e ore a elaborare griglie con descrittori accurati per potere poi definire, come travasando tutto in un bell’imbuto, la sintesi contenuta in un giudizio espresso con ottimo, distinto, buono, sufficiente, non sufficiente e forse anche gravemente insufficiente.
Trent’anni così, a celebrare finalmente la fine dell’era fascista e classista dei voti. Con i genitori e i ragazzi che dapprima non capivano, poi si adattavano, infine diventavano bravi a fare di nuovo la traduzione di quell’esperanto della scuola italiana.
Qualche altro collega, intanto, diventa un francobollo nero: se Giuseppe va avanti così si finisce di notte, così spegne la telecamera e scende un salto a fare la spesa sotto casa.
Il pc regala ancora la voce di Giuseppe che racconta come un bel giorno, mica tanti anni fa, il voto è tornato. Con timori dapprima, poi con tripudio dei genitori e dei ragazzi che finalmente non dovevano più usare il dizionario per capire che fine avrebbero fatto. E adesso, di nuovo, si torna ai giudizi? Cos’è che è cambiato? I francobolli sul video sono quasi tutti neri o con un bel pallino colorato con un animaletto grazioso nel mezzo, quando Giuseppe fa questa domanda. Che più retorica, certo, non si può.
Giuseppe immagina la mestizia, l’incredulità, la confusione di genitori e bambini, per fortuna solo delle elementari, ad anno scolastico ormai giunto quasi a metà. Ha ragione il professor Mazzeo che è un luminare della valutazione in Italia, a dire che in fondo questa scelta è utile perché rimette al centro il discorso sulla valutazione. Non lo era anche prima? Allora bisognerebbe chiedersi perché. Per il voto? Ma va’! Allora mente anche lui, sapendo di mentire, dicendo che adesso andrà meglio.
Ormai Giuseppe parla giusto con la preside che è l’unica rimasta accesa.
Una decisione non solo intempestiva, la definisce lui, perché in Italia si tenta di rifare le regole in corsa e perché si comincia sempre dal fondo anziché dal principio. Una decisione poco limpida, soprattutto per i genitori che adesso dovranno di nuovo procurarsi un bel dizionario del nuovo esperanto scolastico: avanzato, per dire, in campo edile significa che siamo a buon punto, che però manca il tetto e il pavimento; nelle nuove pagelle invece sembra che sia il non plus ultra.
E che cos’è quell’in via di acquisizione che assomiglia tanto alla presa per i fondelli dell’altro termine, in via di sviluppo attribuito ai paesi poveri che hanno un Pil pro capite di 700 dollari l’anno? Insomma, dice Giuseppe ormai chiudendo anche il cassetto delle memorie e del bon ton: tutto ’sto cinema serve davvero a migliorare la valutazione e la scuola?
Avere quattro definizioni in cui incanalare situazioni che prima potevano essere descritte con ben dieci possibilità non sembra certo un vantaggio. Una riforma che non migliora in ampiezza e in profondità che riforma è? E soprattutto da quale giudizio nasce? Appunto, da quale valutazione scaturisce questa bella trovata? Da parte di chi?
Anche la preside presenta segni di cedimento: ci mancherebbe solo che Giuseppe adesso, alle 19 e 40, si mettesse a tirare giù la sua versione della Crisi della coscienza europea ecc. ecc. Coglie un momento di sconforto nella voce del vecchio professore, prende la palla al balzo, lo ringrazia per l’ampia e approfondita analisi. E chiede ai francobolli che si sono magicamente riaccesi se ci sono interventi. Non sia mai, c’è anche una famiglia e una cena che aspetta. Chiede all’animatore digitale di inoltrare il modulo per la votazione che arriva anche a Giuseppe: approva, non approva, si astiene. Su cosa? Perché? In fondo c’è il bottoncino viola con la scritta invia. Clicca anche Giuseppe, sapendo bene chi e cosa invierebbe dove. Ma non si può dire.
Infine giustizia è fatta: i voti spariscono e arrivano questi descrittori incapaci di dire più esattamente dei voti cos’è la scuola, cos’è il lavoro di un alunno, dell’insegnante e di un genitore.
Ha ragione Mazzeo, pensa Giuseppe: il problema non è questa altalena italiana dei giudizi e dei voti (e scommetterebbe lo stipendio che non è mica finita qui!). Ma allora perché si raccontano favole e non si affronta il vero problema?
Magari domani. Adesso sono già le 19 e 58, c’è da andare a mangiare, da vedere al telegiornale se quelli della politica sapranno tirare fuori una soluzione per la crisi. Ma forse anche lì, il problema è un altro e anche lì si raccontano favole.
Giuseppe spegne il pc. Viva l’Italia, gli viene da cantare sarcastico. Ma il magone gli strozza la voce, perché le favole cominciano a essere troppe. E per i bambini e gli adulti ci sarebbe bisogno finalmente di un po’ di realtà.