Le scuole tecniche che hanno aderito alla riforma cosiddetta del “4+2” sono decisamente aumentate rispetto allo scorso anno scolastico e da 180 sono passate a 396, con un aumento del 120%. Il ministro Valditara afferma che si è trattato di un grande successo e il fatto che un quarto circa degli istituti tecnico-professionali abbia aderito alla riforma prelude a un cambiamento generale della scuola italiana.
È opportuno rammentare che tale riforma prevede la riduzione del quinquennio degli istituti tecnici a quattro anni, con il contestuale potenziamento delle attività laboratoriali e particolarmente di quelle dell’alternanza scuola-lavoro, che oggi si definiscono con la sigla indigeribile di PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento).
Poi, a conclusione del quadriennio, i diplomati potranno scegliere di entrare nel mercato del lavoro o proseguire con una formazione di due anni presso gli ITS Academy, oppure ancora iscriversi all’università (senza un quinto anno di valore integrativo).
L’intento ministeriale è quello di stabilire rapporti più stretti e proficui con il sistema produttivo, in maniera tale da rendere la formazione professionalizzante un pilastro del sistema scolastico. Ovviamente si tratta di una finalità apertamente condivisa da Confindustria, che vi ravvisa una modalità “per integrare la didattica con il know-how di chi ogni giorno affronta la competizione globale”.
La riforma, com’era prevedibile, ha registrato la fiera opposizione sindacale, CGIL in testa, che ha denunciato come “pasticciato” il testo normativo e soprattutto ha criticato il punto di vista educativo che la informerebbe e che promuoverebbe il mero addestramento dei ragazzi, al fine di collocarli nel sistema produttivo in un’ottica di pura subordinazione alle esigenze aziendali.
Anche se c’è stata una crescita di adesioni rispetto allo scorso anno, i peana ministeriali vanno ridimensionati, perché le scuole che hanno espresso il loro diniego sono ancora tante, troppe. I dati, pertanto, vanno valutati criticamente. Il fatto che abbia aderito il 32,5% delle scuole settentrionali, il 13,1% delle scuole dell’Italia centrale e il 54,1% di quelle meridionali deve far riflettere. Il corpo più consistente delle scuole aderenti, infatti, riguarda queste ultime, in un contesto sociale ed economico dove il sistema industriale ha maggiori difficoltà a svolgere una funzione di partenariato con le scuole.
La questione dovrebbe essere approfondita con un’apposita ricerca per individuare le motivazioni che hanno spinto i collegi dei docenti ad aderire a una riforma osteggiata puntutamente dai sindacati. Senza una tale verifica, ogni ragionamento è subordinato al beneficio del dubbio. Tuttavia, muovendo dal presupposto (su cui non tutti concorderanno) che la realtà scolastica sia molto politicizzata, forse vale la pena di abbozzare qualche idea per stimolare ulteriori riflessioni.
Certamente il dato negativo delle Regioni centrali fa riflettere: poco più di una scuola su dieci ha fatto propria la riforma. Inutile osservare che alcune di quelle Regioni sono animate da una tradizione politica di opposizione all’attuale governo (in Toscana hanno aderito solo 11 scuole e nessuna a Firenze), mentre l’adesione più consistente di quelle meridionali potrebbe riflettere una maggiore apertura politica, che deriva dal venir meno dei precedenti equilibri e dal tracollo di alcuni partiti o movimenti (M5S, ad esempio).
Il dato del Nord di più di tre scuole su dieci può essere spiegato con l’importanza del sistema industriale di quelle regioni, che influenza positivamente la scelta delle scuole. Ma forse l’elemento che più interessa è che, aldilà delle retoriche sindacali oppositive – e di quelle favorevoli di parte ministeriale –, l’argomento principe dei sindacati, talora dichiarato e talaltra velato dall’ideologia “anti-addestramento”, sia quello della perdita dei posti di lavoro dei docenti che deriverebbe dalla riduzione di un anno scolastico del tradizionale quinquennio.
Questo è il cuore del discorso, poiché i sindacati paiono interessati al destino della scuola molto meno di quanto lo siano rispetto ai posti di lavoro. La scuola è un mondo diffusamente sindacalizzato e fortemente politicizzato. Diversamente da quanto è accaduto in altri Paesi, il percorso di professionalizzazione dei docenti non si è mai sviluppato, a causa del forte egualitarismo sindacale che ha bloccato in germe qualsiasi possibilità di carriera. Ciò che conta per le organizzazioni sindacali sono i posti di lavoro e soprattutto le tessere che ne seguono.
La cosa non scandalizza, se anche adesso vi sono alcune classi in cui contemporaneamente si hanno due o tre docenti (nei tecnici, ad esempio, si possono avere nello stesso tempo gli insegnanti titolari della materia, quelli tecnico-pratici, talvolta gli insegnanti di sostegno e talaltra anche gli assistenti tecnici).
Le rassicurazioni di Valditara circa il fatto che, nonostante la riduzione di un anno dell’intero percorso di studi, il corpo docente non verrà diminuito non hanno convinto i sindacati. Ma tutto questo pone al ministro una diversa problematica, rispetto a quella delle scelte attuali. È evidente, infatti, che occorrono riforme con una diversa priorità.
Da un lato sarebbe necessario definire modalità di carriera professionale per i docenti, in maniera tale da riconoscere il merito di quegli insegnanti assolutamente dediti al proprio lavoro, che tuttavia vengono continuamente frustrati e delusi dall’egualitarismo che li pone sullo stesso piano di chi si contenta del “minimo sindacale”.
Dall’altro, occorrerebbe rivedere la governance della scuola, perché la prevalenza del corpo docente (assoluta all’interno del collegio e sostanzialmente maggioritaria nel consiglio di istituto o di circolo) fa sì che le logiche sindacali prevalgano su quelle educative. Tutto questo è noto a chiunque viva nella scuola e il fatto che a livello ministeriale non si parli della questione è conseguenza del forte intreccio tra logiche sindacali e burocratiche anche all’interno del ministero.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.