Gentile direttore,
le scrivo mettendo nero su bianco le mie impressioni, dopo l’ennesimo appello d’esame che mi ha lasciato l’amaro in bocca.

La mia materia, lingua e letteratura latina, è ormai considerata la bestia nera sia del curriculum liceale che di quello universitario: materia sentita a torto come ultra–specialistica e settoriale, mentre invece è trasversale, fondamentale per classicisti e modernisti, per gli storici, che possono leggere senza mediazioni le fonti letterarie, per i filosofi, che hanno così accesso ai testi di Seneca, Agostino e Tommaso, per gli archivisti e gli storici dell’arte, per i linguisti e i glottologi.



Eppure, assistiamo sempre più spesso a un abbassamento del livello medio della preparazione con cui gli studenti accedono alle facoltà universitarie (drammatico, soprattutto nella padronanza del lessico e nella capacità di scrivere in un italiano corretto e fluente) e, insieme, a un innalzamento della fatica con cui mediamente essi si accostano a materie che richiedono uno studio sistematico, soprattutto se hanno un forte taglio storico.



Che, per tanti e svariati motivi, al liceo si studi sempre meno la lingua latina è un triste dato di fatto: e fino a cinque o dieci anni fa gli studenti di lettere trovavano un grande ostacolo nell’esame di latino, e se ne lamentavano, proprio per la difficoltà a raggiungere il livello–base di conoscenza della morfosintassi, indispensabile per l’accesso autonomo ai testi letterari. La storia della letteratura, invece, veniva avvertita come una parte più semplice da studiare, più lineare, che richiedeva competenze meno complesse, e in sintesi più piacevole, perfettamente affrontabile in autonomia.



Invece, da qualche anno a questa parte, la vera difficoltà sta nella capacità di uscire indenni dal colloquio di letteratura: perché sempre di meno gli studenti nella secondaria di secondo grado sono messi di fronte alla responsabilità di gestire autonomamente ampie parti del manuale; perché, per brevità e praticità, studiano sugli appunti, presi magari dallo studente diligente del gruppo (e poi fatti girare: il che, dato che gli appunti sono estremamente personali, equivale a masticare chewingum già masticato: ma provate a farlo presente); perché i docenti, pur di far cessare le polemiche e le inquietudini, e pur di evitare critiche e richiami, si sono rassegnati a indicare non gli argomenti da studiare per una verifica, ma “le pagine” (non sia mai che uno studente legga una pagina in più); perché, in una didattica sempre più parcellizzata, è possibile, dopo aver avuto una valutazione in una verifica su un certo argomento, dimenticarlo bellamente (tanto, la verifica successiva verterà su un argomento e un autore successivo).

In questo panorama, gli studenti arrivano all’università, anche in facoltà umanistiche, non solo con un bagaglio lessicale spesso carente, talora incapaci di esprimersi, soprattutto in forma scritta, in un italiano corretto; ma c’è di più, e di peggio: se mettono in conto, con triste realismo, che dovranno molto penare per l’esame di lingua latina, difficilmente sono consapevoli delle lacune di base, che rendono per loro un percorso a ostacoli lo studio della storia della letteratura.

La prima motivazione è che una delle materie più bistrattate degli ultimi anni è la storia: essa è trasversale a tutti gli insegnamenti, la sua conoscenza ne è il pre–requisito fondamentale, ma oltre ad aver perso in molti indirizzi scolastici un’ora nel triennio, la storia è la classica materia che per la sua stessa natura non consente un apprendimento parcellizzato, né l’oblio di un certo periodo precedente a quello oggetto dello studio più recente. La storia, in altre parole, riempie, per così dire, tutti gli spazi vuoti, come l’aria, e non si studia per poi dimenticarla subito dopo.

Del resto, i nostri studenti devono comprendere che esiste una scientificità anche negli studi storico–letterari, e che in questi ambiti non si può parlare in modo generico, o impreciso: bisogna conoscere i realia (datazioni, titoli, contenuto delle opere, genere letterario, autori).

Tuttavia, la perniciosa tendenza che sempre più chiaramente si va delineando è esattamente di senso contrario: triste realtà, contro cui dovremmo tutti sforzarci di essere un po’ più esigenti, in primis sullo studio autonomo dei vasti, faticosi, ma imprescindibili manuali.