Dal Regno Unito, in un’estate italiana che sempre più rievoca le piogge britanniche, non arrivano solo notizie relative al Coronavirus nella variante “Delta”, ma anche notizie di una sperimentazione didattica che suona curiosa per noi italiani, dove sorge la Città eterna e il Rinascimento è nato: la “reintroduzione” della lingua latina nel curriculum scolastico in 40 scuole pubbliche, eliminato in precedenza in una riforma degli anni Ottanta. Infatti, come si apprende sul Guardian del 31 luglio 2021, il ministro dell’Istruzione, Gavin Williamson, ha detto: “Sappiamo che il latino ha fama di una materia elitaria che è riservata solo alle classi sociali più privilegiate, che son poche. Ma tale materia può recare molti benefici ai giovani, così ho voluto mettere fine a ciò che divide”.
L’insegnamento della lingua latina in Gran Bretagna ha un ruolo completamente diverso per ragioni storico-culturali rispetto al nostro Paese: il latino non è una materia curricolare obbligatoria nelle scuole del Regno Unito, e come tale non compare in nessuno dei cinque cicli (Key Stages, di seguito KS) di cui è formato il percorso scolastico delineato nel National Curriculum, la cui più recente versione è datata al dicembre 2014 e che si applica all’Inghilterra e al Galles.
La lingua latina, tuttavia, esiste e sopravvive – in forme e modalità opzionali, spesso precarie, spesso creative – e gode non solo di un’alta reputazione a livello formativo ma anche di un ampiamente riconosciuto prestigio, ma nell’opinione pubblica è sinonimo di “elitismo” sociale e culturale. Ritengo utile offrire una breve panoramica sull’ordinamento scolastico attualmente in vigore in Inghilterra e in Galles (Scozia e Irlanda del Nord hanno specifiche peculiarità, che qui omettiamo per brevità).
Alla Primary school (Year 1 – Year 6, fascia d’età 5/6-10/11 anni), divisa in due cicli (KS1 e KS2), segue la Secondary school (Year 7 – Year 13, fascia d’età 11/12-18/19 anni) che si articola in tre cicli: KS3 (Year 7 – Year 9), che corrisponde ai tre anni della scuola media in Italia; KS4 (Year 10 – Year 11), che termina con gli esami Gcse (General Certificate of Secondary Education) che marcano la fine della scuola dell’obbligo; KS5 (Year 12 – Year 13- fascia d’età 17-18), che si conclude con gli esami A level (Advanced Level), equivalenti degli esami di Stato del secondo ciclo in Italia e requisito per accedere agli studi universitari.
Una differenza sostanziale tra il sistema scolastico britannico e quello italiano è l’assenza di diverse tipologie o indirizzi di scuola secondaria, corrispondenti ai diversi licei e istituti tecnici e professionali presenti in Italia, e dunque l’assenza di curricoli che stabiliscano a livello nazionale tutte le materie e il quadro orario per ciascun indirizzo. In Inghilterra e Galles, il curricolo per i tre anni del KS3 è composto da due categorie di materie fondamentali e obbligatorie: le core subjects e le foundation subjects, tra cui, in vista degli esami di Stato (Gcse) e secondo il proprio profilo educativo e le proprie abilità, ogni studente effettuerà infatti una scelta. Il ventaglio di materie tra cui scegliere può ampliarsi, a seconda dell’offerta formativa della scuola frequentata, tra cui si collocano appunto le quattro materie classiche: Latin, Ancient Greek, Classical Civilization e Ancient History.
Insomma, come si evince nell’ultimo ciclo (KS5) della scuola, lo studente sceglie e studia solo 3-4 materie in base in base alle preferenze e attitudini individuali ma anche alle prospettive di studio o lavorative. La scuola inglese si basa, in estrema sintesi, su ampia flessibilità e prevede un’ulteriore selezione e personalizzazione del curricolo di ciascuno studente.
All’interno di questo quadro, qual è dunque la posizione del latino? La lingua dei Romani non è materia obbligatoria e la sua presenza nell’offerta formativa di un singolo istituto dipende, in prima istanza, dalla scelta del dirigente scolastico e dei suoi consiglieri. Questa scelta-decisione può trarre ispirazione da una visione personale o collettiva, oppure può essere dettata da una percepita opportunità all’interno del “mercato” scolastico: il sistema scolastico del Regno Unito è infatti altamente decentralizzato e, a livello sia nazionale che locale, il confronto e la competizione tra le scuole ne è una caratteristica fondamentale.
Se, inoltre, si tiene conto che la storia, la tradizione e la reputazione della singola scuola hanno spesso un peso non irrilevante in tali scelte, una materia come il latino viene a rappresentare agli occhi delle famiglie un simbolo di rigore accademico e di prestigio.
Insomma, il latino diventa una sorta di cartina di tornasole socio-economico-culturale. Diversi invece sono i connotati italiani proprio per via dell’ordinamento scolastico.
Questa sintetica panoramica della scuola britannica ci aiuta a comprendere meglio la notizia della reintroduzione della lingua latina quale sperimentazione didattica in 40 scuole “pubbliche”, cioè gestite dallo Stato. In base al contesto anglosassone, conta sicuramente la “domanda” da parte dell’utenza delle scuole, basata a sua volta sulla consapevolezza, apertura e sensibilità delle famiglie rispetto al valore del latino, e queste variano a seconda delle specificità geografiche, nonché socio-economiche, della singola scuola.
Il ministro Williamson ha poi concluso circa la constatazione di disparità della presenza dell’insegnamento della lingua latina nei curricola scolastici: “Non ci dovrebbero essere differenze in ciò che i ragazzi imparano nelle scuole statali e private (state schools and independent school)”. Ma approfondire lo status delle scuole “paritarie” nel Regno Unito, con la presenza diffusa dello studio della lingua latina, fa riflettere da una parte sul “privilegio” di poter studiare latino (e talvolta il greco antico) riservato, in modo elitario, a chi si può permettere economicamente o può avere accesso alle independent schools; e dall’altra parte ci costringe a rivalutare la presenza ampia del latino nelle scuole italiane come materia obbligatoria, che spesso viene osteggiata dagli studenti o da una certa propaganda basata più sulla demagogia ideologica che su una valutazione dei “benefici” formativi e sulla valenza culturale.
Ma di questo sarebbe necessario un ulteriore approfondimento, che per ora è da rimandare.
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