Pochi giorni fa, visitando i reparti produttivi altamente automatizzati e tecnologicamente avanzati di una grande azienda manifatturiera del Nord-Est, non ho potuto fare a meno di notare che la gran parte del personale impiegato nella gestione delle apparecchiature fosse di genere femminile. Ripensando in seguito alle aziende di area meccanica-meccatronica che frequentemente visito per motivi legati alla mia professione, ho concluso che la situazione, rilevata con un po’ di sorpresa nell’ultima visita, non sia poi così fuori dal comune in molte realtà produttive. 



In altre parole, la consolidata idea che le professioni legate alla meccanica siano esclusivamente maschili sembra in qualche modo smentita dai fatti in considerazione di un’evoluzione del settore produttivo che vede ambienti di lavoro sempre più vivibili e lavori manuali quasi completamente sostituiti da automazioni e gestioni integrate delle produzioni.



Viene allora logico pensare a un tema che negli ultimi tempi è molto dibattuto, cioè il fatto che le ragazze non si avvicinino facilmente agli studi collegati alle specializzazioni STEM. Il problema, certo reale, assume particolare rilievo poi se si vanno a considerare i dati relativi al genere nel settore meccanico e meccatronico. I numeri in questo caso sono sconfortanti e raccontano di percentuali a una sola cifra nel rapporto tra maschi e femmine con diplomi o lauree legate alla meccatronica a dispetto degli ottimi risultati negli studi ottenuti dalle studentesse.

A un sistema produttivo che richiede sempre maggiore specializzazione tecnica nelle risorse umane e che offre possibilità di impiego anche di livello elevato in funzione di competenze tecnico-operative, si contrappone ancora un dato di disoccupazione giovanile superiore al 30% con notevole prevalenza del genere femminile. Perché allora le giovani non si avvicinano a studi che preparano a occupazioni nell’ambito meccanico meccatronico, che permetterebbero loro di ottenere posizioni anche di rilievo e notevoli possibilità di realizzazione?



Un problema culturale

Da sempre nella cultura italiana ha prevalso l’idea dell’uomo dedito al lavoro pesante a bassi livelli o a ruoli dirigenziali a livelli elevati e della donna casalinga o impegnata in lavori di tipo impiegatizio. In ogni caso la donna sul lavoro è in genere stata finora considerata figura secondaria all’uomo, tanto che anche oggi gli uomini ricoprono in maggioranza le posizioni di rilievo nel sistema produttivo e si lamentano, a parità di mansioni, disparità retributive a loro favore.

Probabilmente già nella scelta della scuola superiore, quando si cominciano a indirizzare i giovani rispetto al futuro, prevalgono nei ragazzi e nelle loro famiglie preconcetti legati a un’idea del lavoro ormai superata dovuta primariamente alla scarsa conoscenza delle attuali realtà produttive. Ma le radici del fenomeno si possono rilevare già dall’infanzia dei nostri figli, quando dividiamo in modo draconiano i giochi per i maschi dai giochi per le femmine, considerando una sorta di eresia regalare, ad esempio, il “meccano” a una bambina.

Un problema sociale

Gioca sicuramente un ruolo importante nella scelta dell’indirizzo di studi e del conseguente campo lavorativo anche l’attuale struttura della famiglia che vede ancora oggi in prevalenza la donna occuparsi della gestione dei figli con evidenti difficoltà che portano sovente, soprattutto in realtà di tipo produttivo, a rallentamenti nella progressione di carriera, quando non addirittura alla rinuncia al lavoro. A questo si aggiunge il fatto che ancor oggi molte aziende quando devono scegliere un tecnico o un ingegnere da assumere, soprattutto nell’ambito della produzione meccanica, preferiscano un maschio rispetto a una donna, anche di maggiori capacità e competenze.

Qualche idea per progredire 

Partendo dal fatto che nell’industria manifatturiera italiana esiste da tempo un enorme mismatch tra la richiesta di tecnici specializzati (e tra questi i meccatronici in prima fila) e il numero di iscritti a sistemi di formazione in ambito meccatronico come scuole, ITS, università, una delle soluzioni potrebbe certo essere l’indirizzare le ragazze, a oggi quasi assenti, a quel tipo di formazione. Varie iniziative sperimentali in tal senso sono già state poste in atto con risultati in alcuni casi eccellenti, ma con il limite della sporadicità e della scarsa diffusione territoriale; riproporle in modo diffuso e soprattutto studiarne l’attrattività potrà migliorare la situazione.

Il mondo dell’azienda e della produzione dovrebbe essere conosciuto dai giovani e dalle loro famiglie sin dalle scuole elementari. Spesso aprire le fabbriche e far conoscere come si lavora al loro interno può essere una scoperta anche per una ragazza. Dovrebbero essere promosse, sia a livello statale che aziendale, forme di welfare che consentano a una donna di non essere svantaggiata nell’esercizio di professioni tecniche. 

Inoltre, le scuole, sin dai primi anni, dovrebbero porre i loro allievi di fronte a problematiche di tipo tecnico-scientifico-tecnologico (chiaramente rapportate all’età) possibilmente introdotte da esperti provenienti dal mondo produttivo. Anche indirizzare alla partecipazione femminile esperienze promosse da associazioni datoriali o altri tipi di realtà come i fab-lab o gli innovation hub con progetti, contest e altre iniziative potrà aiutare a far nascere passioni inaspettate in ambito tecnologico.

Aumentare sensibilmente il numero di ragazze impegnate nel settore meccanico meccatronico sarà un lavoro lungo e difficile, ma potrà essere un grande passo avanti per il futuro di molte donne e per lo sviluppo tecnologico del Paese.

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