Nella prima pagina della Premessa al Piano nazionale di ripresa e resilienza, firmato da Mario Draghi, si fa riferimento a tratti salienti dell’intensa crisi che ha colpito l’Italia e che, in un’ottica comparativa spaziale, ha fatto intravedere immediatamente i motivi della priorità assoluta che l’Europa ha voluto riconoscere all’Italia nella distribuzione delle risorse a vario titolo, e comporterà un lungo periodo di impegni (Giuseppe Cinquegrana, Claudio Quintano, “La lunga strada verso il Recovery Fund”, Rivista Bancaria Minerva Bancaria).
“La crisi si è abbattuta su un Paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il 2019, il Pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e del 43,6 per cento. Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della popolazione – prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4 per cento”.
Già a pagina 4 del Pnrr c’è un riferimento di Draghi ai Neet e alle donne: “Ad essere particolarmente colpiti sono stati donne e giovani. L’Italia è il Paese dell’Ue con il più alto tasso di ragazzi tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet). Il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,8 per cento, molto al di sotto del 67,3 per cento della media europea. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche del Paese è ormai fermo”.
Il sogno che i giovani, cavalcando anche l’internazionalizzazione, esprimessero maggior potere si è vanificato (Fabrizio Barca e Enrico Giovannini, “Quel mondo diverso, da immaginare, per cui battersi che di può realizzare”, 2020, Editore Laterza). La durata della loro transizione dalla scuola al lavoro (Tsl) si è ulteriormente allungata. Neet e Tsl sono interconnessi. Infatti, le politiche impiegate per la riduzione dei Neet sarebbero vanificate almeno per la parte di riduzione dell’abbandono scolastico e formazione, se non venisse ridotto anche il tempo necessario alla conquista di un posto di lavoro a fine scuola che, per semplificare, costituisce principalmente l’obiettivo finale delle politiche.
Le politiche per i giovani, nelle pagine 33 e 34 del Pnrr, esprimono autenticamente il pensiero di Draghi in poche parole, l’incipit al tema centrale dei Neet, fatto proprio, poi a cascata, dai singoli consessi che lo hanno portato all’esame dell’Europa.
Mi si consentano delle notazioni personali. Sono stato molto tempo con i giovani durante la mia non breve attività lavorativa, dando anche un apporto alla costruzione della crescita di un’università del Sud contribuendo alla trasformazione di un piccolo istituto universitario dedicato al mare, in una media università generalista, a cinque facoltà, aiutando il decongestionamento dell’apparato universitario dell’Area metropolitana di Napoli. Una zona, è noto, dai “mille” problemi, basta far riferimento, dopo la Seconda guerra mondiale, agli alti tassi di analfabetismo ed ancora oggi con un consistente problema di evasione scolastica e alti tassi di abbandono. Un’università, che non poteva contare sull’economia di un apparato produttivo retrostante, in quel tempo addirittura più significativo di oggi, in un quadro produttivo ovviamente labour-intensive, ma non affatto comparabile con quello delle università del Centro-Nord, né allora né oggi, in riferimento alle assunzioni dei propri laureati e meno che mai poteva contare su una transizione scuola-lavoro rapida con organizzazione di offerta formativa di tipo executive di cui ancora oggi tutto sommato non se ne parla in Italia se non nei casi degli Istituti tecnici superiori (Its) e delle lauree professionalizzanti.
La crescita di quella piccola università, però, mise a disposizione l’ascensore sociale per molta parte della popolazione scolastica, sebbene ciò si traducesse nel creare flussi di alimentazione del capitale umano al Nord e all’estero, molte volte di grande successo professionale, ahimè in gran parte definitivi (Camilo Dagum, Pietro Giorgio Lovaglio, Giorgio Vittadini, “Il capitale umano in Italia: analisi della distribuzione”, Il Mulino; Giorgio Vittadini, a cura di, “Capitale umano. La ricchezza dell’Europa”, Guerini Associati; Giorgio Vittadini, “Capitale umano, istruzione, sviluppo”, in “Quale futuro per l’Europa? Percorsi per una rinascita” a cura di G. Sapelli e G. Vittadini, BUR Saggi).
Per il fatto di vivere questi problemi, oltre che per l’interesse scientifico correlato, un gruppo di studiosi tutti iscritti a Research Gate, provenienti dall’Università Suor Orsola Benincasa (Claudio Quintano), Dipartimento di Studi Aziendali e Quantitativi, Dipartimento di Eccellenza dell’Università di Napoli Parthenope (Giovanni De Luca, Paolo Mazzocchi, Antonella Rocca), dal Dipartimento di Economia dell’Università Vanvitelli (Francesco Pastore) e dall’Istat Regionale della Campania (Giuseppe Cinquegrana), hanno e stanno concentrando le loro ricerche sui problemi legati all’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
I risultati salienti di questi studi, diffusi su riviste internazionali e che qui brevemente si rappresentano, sono in sintonia con le tematiche corrispondenti al lavoro (non remunerato) di Draghi.
• Con la crisi economica del 2007, i Neet sono aumentati in molti Paesi europei. L’elevata quota di giovani Neet è una questione sociale allarmante, poiché, a livello individuale predispone i giovani alla disoccupazione di lunga durata e all’esclusione sociale, mentre a livello macro-economico produce un impatto negativo significativo sulla crescita economica. Vi sono caratteristiche personali che predispongono maggiormente allo status di Neet, quali il genere, il livello di istruzione basso, l’area di residenza al Sud. Considerando gruppi omogenei di Neet, anche in relazione al loro status di disoccupati o inattivi, con tecniche di scomposizione delle differenze nella probabilità di essere Neet, gli autori hanno quantificato quanto queste caratteristiche personali incidono sulla probabilità di essere Neet e quanto invece di questa probabilità è dovuta a fattori non osservabili. Essere donna, essere nato in un altro paese e risiedere nel Mezzogiorno incidono su di essa più del titolo di studio e di altri fattori che è possibile controllare (Claudio Quintano, Paolo Mazzocchi, Antonella Rocca, “The Determinants of Italian NEETs and the Effects of the Economic Crisis, Genus”, Journal of Population Sciences, Springer, 2018, vol. 74, n.5).
• Attraverso un modello ARDL (AutoRegressive Distributed Lag) applicato ad una serie storica di dati mensili 2005-2016, si analizzano i cambiamenti avvenuti nella quota di giovani Neet in Italia nelle macro-ripartizioni geografiche (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro-Sud, Isole). Il Chow test evidenzia l’esistenza di un break strutturale nella serie in corrispondenza dell’introduzione del Fondo di Garanzia giovani, nel 2014, e del superamento della fase più profonda della crisi. Si registra, inoltre, la sotto-rappresentanza delle donne nel mercato del lavoro e l’effetto dualismo Nord-Sud (Giovanni De Luca, Paolo Mazzocchi, Claudio Quintano, Antonella Rocca, “Italian NEETs in 2005-16: Has the Youth Guarantee Fund recent labour market reforms produced any effect?, CESIFO Economic Studies, vol. LXV, Issue 2, 2019, pp. 154–176).
• Per il periodo dal 2007 al 2017 viene analizzata la predisposizione dei giovani ad abbandonare prematuramente la scuola (Early School Leavers – Esl) e si verifica la probabilità che gli Esl diventino Neet in Italia e Spagna, i Paesi con, rispettivamente, i livelli più elevati di Neet e di Esl nell’Ue. Sulla base del sistema di istruzione nei due Paesi, si identificano le principali ragioni del prematuro abbandono scolastico (presenza di genitori poco istruiti e basso reddito). L’analisi della relazione tra Esl e Neet in termini sia di dipendenza che di correlazione dinamica, evidenzia infatti che in Italia c’è una maggiore dipendenza dello status di Neet dal precoce abbandono scolastico, soprattutto per gli uomini. Le indicazioni di policy consistono nella necessità di investire di più nell’istruzione nel tentativo di ritardare l’uscita dei giovani dal sistema educativo (Giovanni De Luca, Paolo Mazzocchi, Claudio Quintano, Antonella Rocca, “Going behind the high rates of NEETs in Italy and Spain: The role of Early School Leavers”, 2020, Social Indicators Research).
• La Tsl risulta estremamente lunga in alcuni Paesi europei, specialmente in quelli mediterranei. In base alle determinanti di tale durata in Italia, si distinguono i giovani rispetto al livello di istruzione ed altri criteri. Lo studio evidenzia che la Tsl per i giovani di età compresa tra 18 e 34 anni nel 2017 si attestava intorno ai 2,88 anni (o 34,56 mesi); più breve per i soggetti con titolo universitario, che hanno impiegato mediamente 46 mesi meno per ottenere un lavoro stabile rispetto a coloro che hanno completato la sola scuola dell’obbligo. A livello macroeconomico, la durata della Tsl negli anni dal 2004 al 2017 presenta una relazione inversa con gli investimenti nelle politiche del lavoro e nell’istruzione, la crescita del Pil e il livello di presenza sindacale. A livello individuale, essere una donna, un migrante o vivere in un’area densamente popolata del Sud sono i fattori cui maggiormente si associa una transizione lunga. Una volta corretto per l’eterogeneità non osservata, inoltre, si evidenzia però che la probabilità di trovare un lavoro aumenta nel tempo. Ciò suggerisce di investire maggiormente nell’istruzione e sulle politiche per il lavoro, piuttosto che sulla flessibilità del lavoro (Francesco Pastore., Claudio Quintano e Antonella Rocca, “Stuck at a crossroads? The duration of the Italian school-to-work transition”, International Journal of Manpower, 2020).
• Ora, la Tsl viene studiata in termini comparativi in 14 Paesi europei utilizzando le informazioni disponibili nel database EU-SILC. Si rileva una drammatica disuguaglianza tra i Paesi, anche al loro interno, in particolare rispetto al livello di istruzione. La durata della Tsl varia in media da 13 (Regno Unito) a 34 mesi (Italia) e il divario tra i Paesi permane anche dopo 10 anni. Lo studio delle determinanti della durata, affidato ad un modello statistico di sopravvivenza con correzione per l’eterogeneità non osservata, pone in luce l’esistenza di una dipendenza positiva dalla durata, suggerendo che, con il passare del tempo, le probabilità che i giovani trovino un lavoro regolare aumenta. Evidentemente, col passare del tempo, le esperienze maturate nella ricerca del lavoro e nelle brevi esperienze lavorative consentono ai giovani di acquisire le competenze necessarie per conquistare il primo lavoro regolare (Francesco Pastore., Claudio Quintano e Antonella Rocca, “Some young people have all the luck! The duration dependence of the school-to-work transition in Europe”, Labour Economics, 2021).
• L’analisi delle determinanti del fenomeno Neet viene effettuata utilizzando dati con un elevato livello di dettaglio territoriale (provinciale e comunale) di fonte Istat e del Ministero dell’Istruzione (banca dati “A misura di comune” e banca dai del “Benessere equo e sostenibile” per l’Istat, banca dati Miur per il Ministero dell’Istruzione). Data la natura gerarchica (provinciale e comunale) dei dati, viene utilizzato un modello di regressione multilevel. I risultati evidenziano la complessità del fenomeno dei Neet ed in particolare l’importanza dei fattori legati sia al tessuto economico-produttivo del territorio, che al funzionamento del sistema educativo. Il tasso di imprenditorialità, l’attrattività di un territorio, il peso del settore hi-tech e la produzione di brevetti sono tra i fattori economici più importanti. A livello sociale, il sistema di istruzione, la partecipazione sociale risultano altrettanto importanti. Al di là di questi fattori, molto forte è il gap tra le regioni del Nord e quelle del Sud Italia. Inoltre, l’elevato dettaglio territoriale consente anche di analizzare l’impatto sul tasso di giovani Neet della densità demografica del comune. Mentre al Nord le città risultano catalizzatori di occasioni per i giovani, al Sud esse presentano tassi di giovani Neet ancora più elevati rispetto agli ambienti rurali (Giuseppe Cinquegrana, Giovanni De Luca, Paolo Mazzocchi, Claudio Quintano, Antonella Rocca, “Italian NEETs: An Analysis of Determinants Based on the Territorial Districts”, 2021, Rivista di Scienze Regionali, in Bernini C. e Emili S. (eds.), Regioni tra sfide e opportunità inattese, Collana Scienze Regionali, in corso di stampa).
Draghi a pagina 33 del Pnrr afferma: “I giovani sono tra le categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche dell’epidemia di nuovo coronavirus. Secondo i dati Istat di febbraio 2021, il tasso di occupazione tra i 15-25enni è diminuito di 14,7 punti percentuali in un anno, oltre tre volte il valore medio nazionale. I 25-34enni hanno perso complessivamente 258mila posti di lavoro dal febbraio scorso (-6,4 per cento) su un totale di 945mila.
In un’area di grande dispersione scolastica sono aumentati anche i giovani che non lavorano e non sono iscritti a nessun corso di studio o di formazione (Neet). Se prima della pandemia i Neet erano circa 2.003.000, al quarto trimestre del 2020, erano saliti a 2.066.000. La questione giovanile in Italia emerge nel confronto con gli altri Paesi europei. Secondo Eurostat, nella fascia di età 20-34 anni, l’Italia è il Paese con il più alto numero di Neet dell’Unione europea, il 27,8 per cento, contro una media Ue del 16,4 per cento” .
La mancanza di prospettive certe e di opportunità di sviluppo si manifesta sia nell’elevato tasso di emigrazione giovanile, sia nei risultati dell’indagine Ocse-Pisa che certifica i ritardi nelle competenze rispetto ad altri Paesi europei.
Le azioni del Piano sono volte a creare occasioni per le nuove generazioni e a costruire un ambiente istituzionale e di impresa in grado di favorire il loro sviluppo e il loro protagonismo all’interno della società. Si pensi alla Missione 1 per la digitalizzazione e la connettività nelle scuole; alla Missione 2 per la creazione giovanile nei settori delle energie rinnovabili; alla Missione 4 con gli interventi previsti su tutto il ciclo dell’istruzione e della ricerca per stimolare gli studi in campi attinenti ai settori ad alta intensità di conoscenza, contrastando l’abbandono scolastico e gli elevati tempi di transizione scuola lavoro con titoli di studio professionalizzanti; alla Missione 5 operando l’integrazione tra politiche attive del mercato del lavoro e politiche sociali tra cui l’apprendistato duale e il potenziamento del Servizio civile universale.
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