C’era una volta il classico “elenco dei diplomati”: l’azienda aveva necessità di assumere un giovane e richiedeva all’Istituto Tecnico o Professionale i riferimenti dei neodiplomati da contattare per la successiva eventuale assunzione. Questo sistema, nonostante continui a essere praticato da molti senza apprezzabili risultati, non funziona più.
I motivi sono più d’uno e possono essere ascritti in parte a difficoltà di tipo pratico, ma soprattutto a ragioni sostanziali basate sui cambiamenti del sistema produttivo e dei suoi rapporti con il mondo della formazione.
Sui motivi di carattere pratico vale la pena di soffermarsi solo brevemente. Le e-mail inviate massivamente a possibili candidati all’assunzione non possono avere grandi risposte in quanto i giovani mediamente utilizzano in modo molto superficiale tale mezzo di comunicazione e spesso non vanno nelle loro letture oltre all’oggetto o alla prima riga del testo. Inoltre, le interminabili ore passate dal recruiter al telefono per avere riscontri utili si infrangono contro una reperibilità pressoché nulla dei possibili candidati, anche nel caso si utilizzino strumenti più innovativi quali WA o simili.
Il quadro risulta completo se si considera la difficoltà di ottenere le informazioni dalle segreterie scolastiche, per motivi (fondati o meno) di privacy o solo di maggior aggravio di lavoro degli impiegati – qualche Istituto Superiore è arrivato persino a chiedere alle aziende il pagamento dell’informazione richiesta, un tot a diplomato.
Ma, come dicevo, i motivi profondi della difficoltà di reclutamento dei tecnici si fondano sul cambiamento epocale che si sta delineando nel rapporto tra i sistemi formativi “tradizionali” e il mondo dell’impresa.
Purtroppo, le richieste del tipo: “mi mandi un ‘perito’… ma che sia bravo e sappia lavorare …” che arrivano ancora ai centralini delle scuole superiori, testimoniano che non tutti hanno ben compreso che l’equazione “io azienda offro un lavoro e tu scuola prepari per bene il tecnico che assumerò – salvo poi restituirlo al mittente con il classico “ma come, non sa far niente … una volta sì che la scuola preparava bene i tecnici…”, non è più proponibile.
Solo incidentalmente ricordo che il termine “perito” nell’accezione di diplomato di istituto tecnico non esiste più da diversi anni, né nella forma (il diploma ora riporta la qualifica di “tecnico” e non più quella di “perito industriale capotecnico”), né nella sostanza in quanto chi esce da un istituto tecnico attualmente non è pronto ad assumere un ruolo operativo in azienda, ma necessita di più o meno lunghi periodi di formazione “on the job” o in sistemi misti (leggi ITS Academy e contratti di apprendistato).
Il concetto dell’istituzione che forma i giovani tecnici attraverso la scuola e dell’impresa che delega completamente ad altri la formazione non si sostiene, soprattutto nel contesto di uno sviluppo tecnologico che evolve con tempi così rapidi da non poter essere seguito da modalità tradizionali di trasferimento di competenze. Sistemi che pur hanno avuto un senso fino a qualche decennio or sono e che ancora ricoprono in modo egregio il compito della formazione completa del cittadino e della preparazione sulle competenze di base (vedi key competencies – Ocse Pisa).
D’altra parte che la mancanza di tecnici preparati stia rallentando lo sviluppo economico del Paese è un dato ormai assodato e si scontra con numeri impietosi di disoccupazione giovanile vicini al 30% e di continuo aumento del popolo dei Neet (ormai abbiamo abbondantemente superato la quota dei tre milioni) che preoccupano, soprattutto in vista del calo demografico in età lavorativa che avverrà nei prossimi anni.
Qualche soluzione
In generale, la scuola e il sistema dell’impresa (non solo industriale, ma anche nei servizi e nel sociale) devono lavorare assieme a 360 gradi, dai primi anni di formazione dei giovani fino alla formazione continua dei lavoratori che ormai è diventata elemento indispensabile in qualsiasi contesto.
Già da qualche tempo le imprese attraverso le loro associazioni e vari enti che operano nel campo del sociale hanno progettato e realizzato progetti formativi assieme alle scuole sin dal segmento primario per far conoscere direttamente la realtà della nostra società. Molti progetti hanno dato risultati interessanti, nonostante un’iniziale avversione da parte del sistema educativo: un grande passo in avanti sarebbe “mettere a sistema” queste attività considerandole (quali in realtà sono) parte integrante della formazione dei giovani.
Nella scuola secondaria, non solamente quella tecnica o professionale, far acquisire competenze agli allievi attraverso progettazione di curricoli realmente legati al processo formativo degli studenti, che coinvolgano, senza preconcetti ideologici, attori della realtà socioeconomica e industriale, resta l’unica possibilità di far decollare questa alleanza. Con il recente successo della proposta ITS Academy si è aperto in questo senso un formidabile canale di comunicazione che può essere riproposto “mutatis mutandis” nei vari i segmenti delle filiere formative.
Il concetto proposto è che il mondo produttivo e non solo sia impegnato in modo integrato nella formazione dei giovani e che d’altra parte l’istituzione scolastica collabori con le imprese nella formazione continua dei lavoratori. Un’integrazione “win win” che non potrà che favorire l’arruolamento dei tecnici.
Cosa non fare
Una grande “alleanza” tra scuola e impresa sembra quindi essere la soluzione di sistema più auspicabile. Gli strumenti utilizzabili in questo senso possono essere molti e alcuni sono già ben conosciuti. Vorrei invece sconsigliare in modo molto pratico alcune strade comunemente intraprese per cercare di reclutare giovani tecnici.
– Procedere in modo individuale da parte di aziende e Agenzie per il lavoro nel cercare di accaparrarsi i “favori” di questo o quell’istituto del territorio e con questo attirare i giovani migliori. Spesso si dimentica che le aziende sono molte, le scuole relativamente poche e che le iniziative di collaborazione proposte da singole realtà industriali o sociali rischiano di andare a sovrapporsi con conseguente rifiuto da parte della scuola con il pretesto “portano via tempo alle lezioni”.
– Costituire (con grande impiego di risorse) Academy interne alle aziende o interventi di formazione continua dei lavoratori completamente slegati dal sistema formativo nazionale o regionale, partendo dal principio “la scuola non prepara al lavoro, devono pensarci gli imprenditori”.
– Proporre progetti di “alternanza scuola lavoro” (PCTO) di basso profilo e completamente slegati dal sistema economici produttivo del Paese. Troppo spesso nei collegi docenti e nei consigli di classe risuonano affermazioni del tipo: “Il Ministero ci costringe a fare queste inutili ore di PCTO, che sono una perdita di tempo e non ci consentono di svolgere i programmi scolastici”.
In conclusione, risulta sempre più chiaro che tutte le problematiche di reperimento e arruolamento dei lavoratori sono in gran parte motivate dalla mancanza di azioni di sistema che possano programmare e indirizzare la formazione dei giovani verso le professioni necessarie alla società. Agire con logiche individualistiche o di lobby rischia oggi solo di aggravare la situazione.
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