Vorrei proporre una seconda riflessione, che sviluppa ulteriormente la precedente. Affinché l’innovazione a scuola diventi “sistematica”, ossia esca dall’esperienza pur significativa del singolo docente, occorre domandarsi quali siano le condizioni gestionali e organizzative necessarie. Infatti, uno dei problemi delle nostre scuole è che le innovazioni positive portate da singoli docenti non diventano “scuola”, cioè non diventano “organizzazione”, e restano confinate al gruppetto di studenti che hanno la fortuna di imbattersi nell’uno o nell’altro docente più intraprendente.



Perché è importante portare l’innovazione a un altro livello di scala, dal singolo docente alla scuola nel suo insieme? Perché la scuola è (o potrebbe e dovrebbe essere) un luogo, un contesto, un’organizzazione che intenzionalmente porta una responsabilità educativa e formativa nei confronti dei bambini e dei ragazzi che le sono affidati. Un’organizzazione, allora, non è appena la somma dei singoli che la compongono, ma è di più: è un luogo guidato, in cui gli obiettivi e gli strumenti sono codificati, discussi, validati collettivamente. Nessuno porta il proprio miglior frutto da solo, con uno sforzo solitario e individualistico, e questo vale tanto più per un contesto educativo come quello della scuola.



In questo quadro, il ruolo del dirigente scolastico è cruciale. Al Ds non è chiesto di essere il migliore educatore, né di avere le migliori idee di tutti: il suo ruolo, invece, è quello di favorire la messa a sistema delle idee, delle innovazioni, lo scambio di esperienze, ecc. In altri termini, il Ds è colui che ha la responsabilità di tenere assieme una comunità che educa, di rendere “strutturale” l’azione dei singoli, di esplicitare la direzione educativa verso cui tutti possono tendere, anche come riferimento per giudicare la bontà o meno delle innovazioni proposte. In questo senso, peraltro, non esistono innovazioni o metodi positivi in assoluto, ma sempre devono essere giudicati e valutati in funzione dello scopo e della missione di un ideale educativo definito e comunicato: questo è il vero “specifico” del ruolo del Ds.



Ascoltando le belle e significative esperienze presentate nell’incontro di oggi, mi sono domandato quali competenze dovrebbe avere un dirigente scolastico che volesse prendere spunto da queste e promuovere innovazioni e sperimentazioni di questo tipo nel proprio istituto. Anche sulla base di quanto abbiamo studiato e discusso negli ultimi anni, con il mio gruppo di ricerca, sottolineerei alcune dimensioni: coraggio, soprattutto nella fase delicata di costruzione ed esplicitazione dell’identità educativa e culturale della scuola che dirige; ascolto, per intercettare le novità che vengono proposte, valutarle, e nel caso proporle e indicarle a tutti; compagnia, per essere a fianco del lavoro dei singoli docenti nelle scelte che si trovano a compiere, ma anche e soprattutto per suggerire e favorire modalità di lavoro insieme, tra colleghi, per far maturare una collegialità reale ed operativa; coinvolgimento, per favorire che la comunità educante sia tale, ossia che le scelte maturino e siano vissute insieme, portate in modo unitario, condivise e implementate proprio in modo comunitario e non solitario. Il ruolo dei cosiddetti middle manager (i collaboratori del Ds) è fondamentale, in questo senso.

Tante volte ho osservato scuole che sono l’insieme di belle (e meno belle) esperienze dei singoli, ma la scuola non è questo. La scuola è l’ambito in cui le scelte sono portate assieme, con libertà e autonomia di tutti, ma dentro un disegno e una proposta educativa chiara. Che questa proposta si manifesti e si verifichi, è il primo e più decisivo compito del Ds.

(2 – continua)

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