Si sta diffondendo l’equivoco che la digitalizzazione del sistema d’istruzione sostenuta dai fondi europei e il rafforzamento della competenza digitale (entrambe iniziative, beninteso, benemerite e utili che vengono a colmare gravi ritardi) rappresentino una riforma in grado di consentire alla scuola di compiere un decisivo salto di qualità. Mentre questa ultima eventualità può essere forse possibile sul piano tecnologico, appare alquanto incerta sul piano educativo e tutta da provare per quanto riguarda gli apprendimenti.



Se a questo si aggiunge il tentativo di far credere all’opinione pubblica che dalla parte dei “progressisti” stanno i sostenitori del digitale e della didattica a distanza e che invece quanti reclamano la necessità di riflettere anche oltre la digitalizzazione – compreso il richiamo al valore della scuola in presenza – sono i “conservatori”, si può pensare che forse più che di un equivoco siamo addirittura in presenza di una lettura distorta della realtà a sicuro beneficio dei grandi interessi economici che accompagnano questi interventi macro-strutturali. Magari bastasse il ricorso al digitale a risolvere i problemi e a dare un senso alla scuola!



La realtà purtroppo è molto più complicata, come è sotto gli occhi di tutti e non è il caso qui di ricordare le tante questioni che da anni sono sui tavoli del ministri che si sono via via susseguiti senza riuscire a invertire, per esempio, il fenomeno della dispersione, a ridurre il gap tra le diverse (troppe) Italie scolastiche, a eliminare – o almeno contenere – l’apparentemente invincibile fenomeno del precariato, a provvedere alla cronica mancanza di insegnanti di sostegno, a rendere effettiva l’autonomia delle scuole e quant’altro ancora.

Se potessimo suggerire un modesto consiglio a chi sta a capo del palazzo di viale Trastevere diremmo di non lasciarsi travolgere dall’euforia digitalizzante e di sfogliare il carciofo dei problemi aperti sulla sua scrivania poco alla volta per venirne a capo di qualcuno. È in questo spirito che segnaliamo due situazioni davvero strategiche per migliorare la scuola che necessiterebbero di interventi urgenti di nessuna o di modesta entità economica: la stabilizzazione delle procedure di formazione iniziale e reclutamento dei docenti e il sostegno alle scuole i cui risultati sono per varie ragioni insoddisfacenti.



1. Non c’è professione il cui iter formativo sia più incerto di quello previsto per i docenti della scuola secondaria. Negli due ultimi decenni si sono susseguite ben quattro tipologie di formazione degli aspiranti insegnanti, a partire dalle Scuole di specializzazione avviate nel 1999 e inopinatamente chiuse nel 2008, sostituite da altri percorsi (Tfa/Pas e Fit, non sto a descriverne le differenze per non impegnare il lettore in troppi tecnicismi) fino a giungere alla semplificazione estrema decisa dal ministro Bussetti in vigore tuttora, che prevede un accesso alla professione senza tirocinio e con soli 24 crediti universitari in discipline psico-antropo-pedagogiche (pari a un semestre accademico). Ora si parla di un nuovo intervento che ripristini il tirocinio in classe.

I giovani che intendono avviarsi all’insegnamento secondario vanno posti nella condizione, fin dall’inizio dei corsi universitari, di avere ben chiaro il percorso che devono seguire, senza spade di Damocle di correzioni in itinere che creano (come hanno creato negli anni passati) disagi a non finire, variazioni di piani di studio, esami da replicare o sostituire ecc. La certezza e la stabilità dei tempi e delle caratteristiche della formazione e il suo rapporto con il reclutamento sono una primaria condizione anche per attrarre alla scuola i giovani migliori rispetto ai quali andrebbero studiate iniziative volte ad incoraggiarli a scegliere la professione docente come accade nei paesi che primeggiano negli esiti scolastici.

2. Un altro territorio da curare (magari solo in via preliminare, a titolo di esperimento, affidato a qualche università, all’Indire o a qualche fondazione) riguarda quell’ampio segmento scolastico i cui risultati per varie ragioni (situazione ambientale deprivata, popolazione scolastica problematica, alto turn over di docenti e dirigenti, professionalità docente di mediocre qualità, ecc.) non sono soddisfacenti, talora con esplicita consapevolezza degli interessati. Altrove da decenni – specialmente nei paesi anglosassoni – sono previste iniziative di monitoraggio, sostegno e accompagnamento a favore delle scuole in difficoltà che incidono non poco sul fenomeno che abbiamo poco sopra definito delle diverse Italie scolastiche. Da noi finora il problema è restato sotto traccia condizionato dalle riserve di quanti temono che per questa via si giunga alla valutazione delle scuole e degli insegnanti.

Anche in questo caso non sarebbero necessari interventi particolarmente onerosi perché si tratterebbe – come dimostrano collaudate esperienze straniere – o di affiancare le scuole con personale esperto così da aiutare dirigenza e docenza delle scuole in difficoltà a individuare i loro punti di fragilità e le possibili strategie interne ed esterne all’istituto per provvedervi, o di creare network di scuole a rendimento misto secondo un modello ispirato al principio del reciproco aiuto. Un’interessante esperienza in tal senso (facilmente consultabile in rete con dovizia di particolari anche operativi) è il Network for College Success (Ncs) di Chicago realizzato in collaborazione con locale università (ma ci sono molte altre analoghe iniziative di miglioramento).

Lo scopo del Ncs è di dar vita a un “modello dinamico di supporto alle scuole per costruire i sistemi, le strutture e la capacità di impegnarsi in un processo di miglioramento continuo” alla cui base è posta la convinzione che “gli educatori vogliono migliorare i loro risultati e hanno bisogno degli strumenti, delle abilità e delle strategie per implementare efficacemente cambiamenti reali”. L’idea guida è che le persone fanno la differenza e che le metodologie e gli strumenti tecnologici da soli non sono risolutivi.

Un’ottima e utile indicazione che si può applicare anche alla digitalizzazione. Il miglioramento è possibile se si attivano, prima di tutto, le risorse personali dei docenti.