Il 55° Rapporto del Censis sul 2021 ci consegna l’immagine di una società immersa in una difficile transizione. Una parte di popolazione, infatti, pare essere preda dell’“irrazionale”, negando l’esistenza del Covid-19 oppure sostenendo che il mondo sia piatto. Anche l’immagine della scienza, come portatrice di nuove conoscenze e di progresso, è fortemente lesionata. Si nutre verso di essa la stessa sfiducia che una percentuale cospicua di italiani rivolge alla politica. Oltre due milioni di nostri concittadini vivono condizioni di povertà assoluta. Anche il rimbalzo del Pil, che quest’anno pare essere superiore ad ogni più rosea aspettativa, sembra destinato a contrarsi, negli anni venturi, a causa del permanere dei mali tradizionali, quali la pesantezza del debito pubblico, l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’obsolescenza del mercato del lavoro, ecc.
Molti ritengono che il futuro riservi un peggioramento rispetto al passato.
Nonostante i successi sportivi, quelli nella lotta alla pandemia con le vaccinazioni e il fermento ricostruttivo che pare animare una parte del mondo imprenditoriale, la società italiana sembra inverare, più che quella di altre nazioni, il destino di decadenza del mondo occidentale che alcuni autori come Oswald Spengler, Samuel P. Huntington e Francis Fukuyama, con toni diversi, hanno preconizzato. L’impoverimento demografico, unitamente al fenomeno della denatalità, pare essere la cifra più evidente di questo stato d’inerzia, che finisce per connotare in senso pessimistico lo spirito di una nazione.
In questo quadro pericoloso la scuola assume, nei fatti, una drammatica centralità. Il futuro della nazione si gioca sul ruolo dei giovani, cui competerà la scelta se accogliere passivamente il declino oppure impegnarsi con vigore nella ricostruzione. La scuola è il collo di bottiglia della soggettività civile ed economica delle future generazioni. Ma, aldilà delle retoriche politiche e del chiacchiericcio, la coscienza collettiva e l’opinione pubblica hanno consapevolezza di ciò?
Intanto vorrei osservare che, in questa situazione di ripresa della pandemia, alcune scuole superiori, particolarmente nelle grandi città, sono state occupate. Dopo le occupazioni, generalmente poste in essere da esigue minoranze di studenti, conteremo i danni ai locali, alle suppellettili… E già sappiamo che sono ingenti. Esse sono inopportune, intempestive e pericolose dal punto di vista del virus. Mentre i sindacati strumentalmente tacciono, forse sarebbe il caso che almeno il ministro intervenisse e pronunciasse parole educative, rivolte a quei giovani, molti dei quali, con le occupazioni, credono di riacquistare la normalità perduta in questi ultimi due anni.
Esse non sono un’esperienza di crescita personale, né un rito di passaggio all’età adulta e neppure un momento di routine della vita scolastica. Forse sarebbe bene sgomberare il campo da questi equivoci, che si radicano in un contesto passato, oggi inattuale.
Non sempre il ministero, in questi tempi difficili, riesce a fornire una adeguata chiarezza normativa. Ciò è accaduto con le regole sanitarie, che il 2 dicembre ripristinavano la normativa precedente (quella per cui, con un solo caso positivo, la classe intera veniva posta in Dad) per poi riproporre il giorno dopo, con una precipitosa marcia indietro, le regole appena abolite.
Adesso si discute dell’obbligo vaccinale, se esso riguardi anche il personale assente per legittimi motivi oppure no. In altri termini, si tratta di capire se l’ottemperanza all’obbligo sia da applicare immediatamente a tale personale ovvero se occorra attendere il suo rientro a scuola. Il capo dipartimento Stefano Versari ha emanato due note. Nella prima (18 dic. 2021) si esprimeva solamente un parere a favore dell’immediata applicazione delle procedure, corredato da qualche poco opportuna citazione letteraria. Poi, a seguito dei dubbi appalesati dai presidi sulla possibilità di attuare un tale obbligo anche per gli assenti, il capo dipartimento, con puntiglio, si è nuovamente espresso a favore (20 dic. 2021). Ovviamente permangono tutte le contraddittorietà che inevitabilmente daranno luogo all’esplosione dei contenziosi con i no vax e c’è da chiedersi se questa situazione, per il momento, non fosse da evitare…
Nonostante il Pnrr e le ingenti risorse disponibili (edilizia, strutture, digitalizzazione, ecc.), il cuore della governance delle scuole non pare essere toccato. Gli organi collegiali della scuola, che risalgono al 1974, dovrebbero essere rinnovati o cambiati, coerentemente con le esigenze sociali ed educative poste dalla contemporaneità. L’autonomia delle scuole dovrebbe essere sviluppata, poiché è proprio essa che, nei sistemi scolastici di altri paesi, ravviva continuamente la missione educativa.
Analogamente sarebbe opportuno promuovere forme di carriera per i docenti, in maniera tale che l’avvilente egualitarismo, che pone sullo stesso piano chi si impegna con dedizione e chi attua “il minimo sindacale”, possa essere superato. Ma di tutto questo non si sente parlare. Il ministro rilascia interviste piene di buone intenzioni, ma non si intravede una strategia atta a perseguirle. Anche per oggi non si vola, direbbe Gaber.