Il ritorno a scuola? Non fa aumentare la curva dei contagi, salvo qualche eccezione a livello locale. A questa conclusione arriva uno studio del Center for Global Development, analizzando la situazione dell’epidemia in oltre 20 paesi che hanno già riaperto le loro classi agli studenti dopo 25-30 giorni dal picco massimo dei nuovi casi e quando la situazione ha iniziato a tornare alla normalità, come sta succedendo anche in Italia. Secondo il CfGD, solo in Madagascar, Repubblica Ceca e Vietnam ci potrebbero essere state delle risalite nel trend dei contagi, ma non vi sono prove che legano la riapertura delle scuole a una possibile risalita dell’epidemia. Sarebbe stato, quindi, possibile riaprire le scuole anche in Italia? “Partiamo da un presupposto – risponde Roberto Cauda, professore ordinario di Malattie infettive nell’Università Cattolica di Roma –: una serie di evidenze dimostra come il rischio di contagio negli under 15 sia molto basso, proprio per una distribuzione differente del recettore Ace2 a cui il virus si attacca, e nei minori la malattia poi decorre senza particolare gravità, fatte salve alcune forme estremamente rare. Detto questo, la riapertura delle scuole resta un tema su cui occorre riflettere e per fortuna abbiamo ancora tempo prima che ciò avvenga. In linea di massima, non sarei alieno dal considerare la possibilità di una riapertura, ma adesso avrebbe poco senso”.
Chi lo ha già deciso, però, non ha registrato rilevanti cambiamenti della curva dei contagi. Avremmo potuto osare di più anche noi, magari riaprendo le scuole dal 4 maggio?
Da infettivologo, avendo conosciuto nella mia vita otto epidemie, ritengo che la cautela debba essere la stella polare a cui ispirare tutti i nostri comportamenti. Penso che in Italia si sia seguita una politica, che peraltro condivido, di progressiva riapertura. La ripresa delle scuole, dal punto di vista epidemiologico, avrebbe potuto essere un elemento in più di confusione e di complessità.
Non pensa che sia necessario bilanciare il rischio infettivo con un’esigenza dei bambini all’educazione e alla formazione?
La delicatezza della materia non sfugge a nessuno. Questa malattia ci ha insegnato una cautela: meglio mettere in atto una misura di prevenzione in più, che magari si rivelerà a posteriori inutile, piuttosto che metterne una in meno, che poi si dimostra dannosa per la sicurezza delle persone. Dobbiamo poi tenere conto che la didattica a distanza non si è rivelata un insuccesso.
Si poteva magari riaprire al Centro-Sud, dove il virus è meno contagioso e la Dad è più difficoltosa, così da poter testare cosa sarebbe successo?
Tutto si poteva fare, ma sarebbe stata comunque una soluzione parziale. A mio parere, però, è giusto che la riapertura delle scuole sia globale, perché penso che il mantenimento di un’unità didattica abbia un suo valore. La riapertura, poi, deve avvenire secondo determinate condizioni, non alla cieca, altrimenti diventa un azzardo.
A marzo le linee guida dell’Oms e dell’Ecdc non hanno mai segnalato la chiusura delle scuole come una misura di contenimento efficace per l’attuale coronavirus. E all’inizio anche il Cts era d’accordo, poi ha cambiato idea. Perché, secondo lei?
Questo, ovviamente, bisognerebbe chiederlo al Comitato tecnico scientifico. Certo è che da questa malattia impariamo qualcosa giorno dopo giorno, non c’è purtroppo nulla di scritto sulla pietra. Questa epidemia presenta similitudini con altre patologie, ma anche peculiarità sue proprie: pensi agli asintomatici, che sono stati all’inizio il tallone d’Achille. In altre malattie l’asintomatico non trasmette il contagio con la stessa frequenza ed efficacia come nel caso del coronavirus. Il fatto che a marzo si dicesse una cosa, non è detto che sia ancora valida oggi a giugno. Il mantra del Covid-19 è: seguiamolo passo dopo passo, senza la presunzione di avere tutte le risposte e mettendo in conto che dobbiamo imparare sempre qualcosa.
È ancora giustificata la paura che i bambini, che si dimostrano meno suscettibili al Covid-19, rischino di infettare insegnanti a scuola e genitori e nonni in famiglia?
La paura è sempre giustificata laddove non ci siano delle soluzioni. E le soluzioni sono: o la malattia ha colpito così tante persone da avere un’immunità di gregge, ma non è questo il caso, oppure il vaccino.
Oggi però conosciamo il Covid-19 molto meglio che a marzo, non crede?
È vero, sappiamo come combatterlo e il lockdown ha portato a una circolazione più mitigata del virus. Inoltre andiamo incontro a una stagione più favorevole: non solo grazie al maggiore irraggiamento del sole si verificano meno contagi, ma in laboratorio il virus, sia in coltura che nella saliva, con i raggi ultravioletti si distrugge più velocemente.
La scuola riaprirà a settembre e il ministro Azzolina auspica che tutti possano tornare in classe. Quali precauzioni andranno adottate? E se dovesse arrivare una seconda ondata del coronavirus?
Cosa succederà a settembre nessuno lo sa. Bisognerà vedere quale sarà in quel momento la condizione epidemiologica, augurandoci che lo scenario sia il più favorevole possibile. Poi, è importante prepararsi, prevedendo distanziamenti e orari scaglionati. Sono convinto che la riapertura delle scuole, pur se sarà oggetto di attenzione e discussione, potrà avvenire con un bagaglio di conoscenze maggiore e quindi con maggiore sicurezza. Tenendo presente che senza vaccino o immunità di gregge, che a settembre non ci saranno, non esiste il rischio zero.
Il virus scomparirà da qui a settembre?
Ce lo auguriamo, ma un virus che ha provocato nel mondo 6 milioni di contagiati e migliaia di morti è difficile che scompaia improvvisamente e magicamente.
Intanto i numeri dell’epidemia continuano a calare. Il virus è più debole come sostiene il presidente dei virologi, Arnaldo Caruso?
Si possono per ora avanzare delle ipotesi. Uno: potrebbe essere avvenuto il fenomeno epidemiologico del cosiddetto harvesting, cioè il fatto che il virus ha colpito in forma grave i soggetti più fragili e dopo questa mietitura l’epidemia tende ad avere connotati di minore gravità. In linea teorica potrebbe essere avvenuto, ma mancano ancora studi di validazione. Due: in assenza di mutazioni del virus e in assenza di risposta immunitaria efficace, può essere che la riduzione di potenza del Covid-19 in termini di contagiosità sia legata al fatto che venga inoculata una minore quantità di carica virale, il che provoca sintomatologie meno gravi. Tre: c’è l’effetto stagionale dei raggi ultravioletti, che affievoliscono la trasmissione del virus via aerosol. La Sars è scomparsa nell’estate del 2003, che è stata una delle più calde, e in genere i coronavirus con l’estate si indeboliscono.
L’infezione si sta esaurendo?
Alla fine sarà così, come per tutte le epidemie, è inevitabile. L’incognita è: in quanto tempo avverrà? Un mese? Un anno? Due anni? Solo l’introduzione del vaccino cambierà le regole del gioco.
Le risposte cliniche sono più efficaci?
Non ci sono farmaci antivirali utilizzabili in modo diretto, idoneo, opportuno contro il Covid-19, ma ci sono farmaci che hanno dimostrato una loro efficacia in senso lato, a partire dagli anti-infiammatori, come il tocilizumab, dall’eparina a basso dosaggio molecolare, che previene le embolie, e dal ruolo del plasma iperimmune. Sta di fatto che oggi la malattia è molto diversa in termini di gravità rispetto a marzo.
Intanto è ripresa la mobilità tra tutte le Regioni. Cosa dobbiamo aspettarci?
Il lockdown è stato un tempo giusto, ma riaprire è stata una scelta ineludibile. Gli effetti non si vedranno subito, bisognerà aspettare almeno 15 giorni, osservando attentamente quello che succederà. Sarà comunque importante rispettare due livelli comportamentali. Uno toccherà alle istituzioni: bisognerà osservare le 3T, cioè testare, tracciare e trattare. E uno ai singoli cittadini: bisogna affrontare questa “fase 2C” di riapertura, dopo la “fase 2A” del 4 maggio e la “fase 2B” del 18 maggio, con lo stesso senso di responsabilità già dimostrato anche durante tutto il periodo di lockdown.
(Marco Biscella)