Nei giorni dal 25 al 28 novembre 2021 si è tenuto a Roma in forma mista – in presenza ed online – il VI Seminario Invalsi. Quest’anno l’Istituto è riuscito a rispettare, sia pure in forma blended, la tradizionale scadenza del tardo autunno che l’anno precedente era saltata con un rinvio al febbraio di questo stesso anno. La possibilità di tenere in una stessa annualità due sessioni dimostra la vitalità crescente del mondo della ricerca italiana sia di tipo accademico che legato agli enti di ricerca ed alle scuole, oltre che naturalmente quella dello stesso Invalsi.



Nel frattempo cosa è cambiato? Le prove sembrano essersi riavviate completamente, dopo la pausa forzata del 2020, palesemente dovuta non solo alle circostanze pandemiche, ma anche, se non soprattutto, alla volontà del governo giallo-verde di approfittarne per dare un duro colpo alle prove nella prospettiva di cancellarle. Il tutto palesemente voluto dalla componente grillina, nell’acquiescenza della Lega.



È cambiato il presidente, per la fisiologica scadenza dei due mandati della presidente Ajello, che ha però lasciato un’eredità di sostanziale continuità, testimoniata anche da una sua presenza importante fra i relatori. È stata l’occasione per redigere un bilancio confortante, che vede un miglioramento del rapporto con le scuole, tenendo al contempo ben fermi i pilastri scientifici fondamentali. All’osservatore esterno che osserva spesso con sgomento gli andirivieni o il piétinement sur place se non i regressi del mondo della scuola, il fatto che Invalsi dal 2001-2007 abbia continuato un sia pur contrastato cammino e sia alla fine giunto al coronamento della strada pare quasi un miracolo.



Si sta consolidando ed allargando la dimensione internazionale, grazie anche ad una significativa presenza di esperti di Iea, che rimane il deposito più significativo di competenze nel campo delle valutazioni internazionali. Interessanti anche i contributi di ricercatori di molti paesi dell’America latina, fra cui spicca il Cile, che si muovono su un terreno di lavoro del tutto rispettabile e possono rappresentare dei partner utili per Italia.

L’Ocse ha fatto sentire la sua voce con Andreas Schleicher che si è focalizzato come da un po’ di tempo avviene sulle caratteristiche personali degli studenti (dedotte dai questionari di accompagnamento delle prove) e sul loro possibile rapporto con le acquisizioni di apprendimento. In certi contesti italiani ci può essere il rischio che questo focus sia inteso come un abbandono di una valutazione hard sulle competenze di base fondamentali. Ma da un lato l’obiettivo delle prove – Pisa per esempio – non è mai stato un controllo di mere conoscenze, come invece avviene spesso nelle nostre scuole, bensì della capacità di utilizzarle per compiti di realtà più complessi che mettono in moto caratteristiche personali sofisticate. Dall’altra la capacita di testare si sta allargando e raffinando, ed è utile che si cerchi di penetrare un po’ più a fondo nelle caratteristiche dello studente per cercare di orientarle al meglio. Del resto è ciò che cercano di fare i bravi insegnanti, come hanno dimostrato alcune delle esperienze presentate nelle sessioni del Seminario relative alla “Didattica”.

Un altro partner sempre più importante in prospettiva sembra essere l’Istat, che si colloca istituzionalmente con compiti di supporto e valutazione delle politiche per l’istruzione e la formazione, in modo da costruire sinergie tra istituzioni per rispondere alle esigenze conoscitive del Paese. Come ad esempio mettere insieme la dispersione implicita e quella esplicita per dare una idea precisa delle condizioni in proposito del Paese?

Come in tutte le altre edizioni le comunicazioni sono state divise in Ricerca e Didattica, quest’anno forse con una maggiore presenza della prima, perché il numero delle università coinvolte in questo tipo di ricerche si sta, sia pure lentamente, allargando. L’arco dei temi affrontati è al solito molto ampio e talvolta dà l’impressione di una certa dispersività; probabilmente una maggiore concentrazione dei temi stessi permetterebbe un dialogo più fruttuoso fra i ricercatori e conclusioni più significative. 

Le due ricerche presentate sull’anticipo scolastico, che sono arrivate a conclusioni parzialmente diverse, sono un buon esempio, forse casuale, di ciò: il loro interesse consiste soprattutto nell’incominciare dei tentativi di analisi del problema del Sud, un problema che non può continuare ad essere silenziosamente censurato. Continuano ad emergere ad esempio segnali di forte polarizzazione sociale – l’anticipo è uno di questi –, ma si potrebbe andare a scavare anche nella reale e non dichiarata composizione delle classi, etc.

Sul problema del genere non sono mancate le presentazioni random, ma ciò che rende il tema di massima attualità oggi è la sua sovrapposizione con il tema dei diplomi e lauree Stem che in Italia riscuote scarso entusiasmo, pare soprattutto a causa dalla diserzione delle ragazze, maggiore che in altri paesi; in stretta parentela con il campo che riguarda la formazione per il lavoro, venuta in grande evidenza nei programmi del governo Draghi, a partire dalla costruzione di un terziario professionalizzante. Non sfugge certo che affrontare seriamente, anche in termini di numeri, questo terreno minato è difficile, per lo spezzettamento dalle competenze delle Regioni e le loro grandi inefficienze.

Ed infine latita da almeno 2 anni un minimo accenno al tema degli highlevel, mentre abbondano i temi legati all’equità per i lowlevel. Anche le ricerche legate ai resilienti (versione politically correct del tema) latitano da due anni. Non si tratta tanto di alzare la media del paese, quanto di capire che il lamento sui cervelli che emigrano comincia da qui, dalle scuole superiori, se non prima, quando si pensa che i migliori non abbiano bisogno di riconoscimento, di valorizzazione, se non addirittura di sostegno. Quando addirittura non si pensa opportuno che vengano, per political correctness, silenziosamente censurati dall’autocensura della ricerca italiana.

Resta il fatto che dall’inizio delle prove standardizzate è risultata evidente la scarsità degli apicali italiani. E non solo al Sud, perché uno dei dati più significativi nelle prime analisi Pisa lombarde messe in evidenza dallo studio del gradiente era che gli Escs (Stato economico-sociale) apicali lombardi maschi dei licei della Lombardia del Nord avevano risultati inferiori ai pari Escs di livello europeo. E pare proprio che le cose non siano cambiate da allora, anche se mancano dati esaustivi, ben centrati e valorizzati.

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