Ci siamo. Il 7 maggio è arrivato e i giovani studenti della scuola media hanno ricevuto il loro bel titolo per l’elaborato finale che dovranno presentare entro il 7 giugno alla commissione esaminatrice. Titolo studiato e confezionato ad hoc sulla loro personalità, rispettando il loro personale percorso di maturazione, tenendo conto delle loro reali conoscenze e competenze. Competenze, anche quelle linguistiche, logico-matematiche, di educazione civica che dovranno poi essere valutate in sede di colloquio che, a tale scopo, dovrebbe dunque prevedere oltre all’esposizione dell’elaborato svolto, un ulteriore supplemento di indagine.
Cominciano qui i dolori di tutti i giovani Werther che lavorano nella scuola ma, soprattutto, di quelli vecchi come Giuseppe. Infiammato davanti al video, nel suo francobollino d’ordinanza da collegio docenti online, si agita ogni volta che il dirigente comunica quanto è stato suggerito in un ottimo webinar recentemente organizzato per i dirigenti tutti. E il dirigente lo vede. Ma lui non si trattiene. Come si fa a trattenersi quando, ad esempio, si suggerisce – il webinar dirigenziale, per fortuna, non può obbligare – di non pensarci neanche a indagare conoscenze o competenze al di fuori delle tematiche svolte all’interno dell’elaborato?
Il fuoco comincia a invadere il volto di Giuseppe. Ma aspetta. Il webinar mica si ferma qui con i suoi suggerimenti. Come valutare l’alunno complessivamente? Si farà una media matematica tra il voto di ammissione e il voto del colloquio comprensivo della valutazione della redazione dell’elaborato d’esame? Consigliabile, dicono quelli del webinar. Ma spetterà al collegio dare indicazioni per la valutazione finale.
Certamente però, sarà necessario pensare a predisporre anche una griglia dettagliata per la valutazione della redazione dell’elaborato nel suo farsi. Eccolo lì: in itinere, una delle parole magiche dell’italica pedagogia. Dunque, pensa Giuseppe – e lo capisco dalle fiamme sempre più violente che illuminano la sua faccia bonaria e larga, oltre che dai suoi gesti sempre più espliciti e meno contenuti: dovremmo valutare tutto l’itinere di tre anni (che in realtà poi si condensa nel voto finale d’ammissione all’esame stesso) alla stessa stregua di un esame che potrebbe essere il frutto di un’oretta di lavoro dell’ingegnere che abita al piano di sopra dell’alunno in questione, ma dobbiamo intanto adottare una griglia dettagliata per valutare il lavoro di “elaborazione dell’elaborato nel suo processo elaborativo” perché concorrerà a formulare la valutazione complessiva dell’elaborato stesso.
Dunque: per l’elaborato i ragazzi hanno un mese di tempo, gli insegnanti monitoreranno il lavoro, redigeranno man mano una griglia, tireranno le conclusioni, le metteranno nel frullatore con la valutazione finale dell’elaborato stesso e quella della sua esposizione, rigorosamente asettica, senza che si possa andare a indagare nemmeno ciò che possa riguardare contesto o riferimenti ad altre discipline. E poi si farà la media con il voto d’ammissione: cosa vuoi che siano tre anni di scuola fatti insieme? Vuoi che possano valere più di una prova originale, creativa, capace di miracol mostrare svolta in autonomia, finalmente libera dalle costrizioni di programmi e obsolete materie scolastiche?
Ormai la faccia di Giuseppe è un inferno. E meno male che il dirigente apre i microfoni e chiede ai francobollini di intervenire con valutazioni, suggerimenti, indicazioni. Mano alzata, cravatta allentata e colletto della camicia slacciato, Giuseppe lancia le sue fiamme per primo, quasi fosse un bazooka. Non posso mica stare dietro al suo sfogo, ma condivido ogni singola cosa. La parola che dice più spesso è realismo. Meno male che c’è il Giuseppe verrebbe da dire: realisticamente, come posso valutare il processo di elaborazione di quell’elaborato? Come posso considerare alla stessa stregua tre anni di scuola e quell’elaborato? Realisticamente come posso chiedere competenze critiche e creative a chi viene ammesso agli esami – per volontà ministeriale e ormai per prassi consolidata – anche con insufficienze gravi e numerose?
Ah, ma forse qui bisognerebbe intraprendere un altro discorso, chiude Giuseppe: ormai nella scuola conta ciò che sta fuori della scuola, sembra che tutto sia meglio di quello che ci sta dentro. Ma per noi che abbiamo una certa esperienza, la scuola non è da sempre il luogo in cui ciò che sta fuori arriva consapevolmente dentro? Ma non voglio seguirlo: lo lascio alla sua personale fortezza Bastiani, al suo deserto dei tartari. Non perché non abbia ragione – l’assalto ormai è comunque imminente – ma perché qui non posso parlare in modo adeguato e infuocato anche di questo. Ci sarà un’altra occasione.
Intanto registro che i francobollini hanno tutti assentito: le griglie per fortuna rimarranno in giardino. Ats permettendo le useremo per una festa a fine anno. Per la pensione di Giuseppe. E spero non anche per il pensionamento di tutta la scuola. Che, intanto, però, rimarrà aperta anche d’estate, “purché non si confondano i piani: l’attività formativa non sarà di tipo tradizionale. Non certo lezioni in senso classico, ma moduli e laboratori”, come dice il capo dei presidi.
Qualcuno sente profumo di viole, a me verrebbe da parafrasare Eliot: è la scuola che ha abbandonato il mondo, o è il mondo che ha abbandonato la scuola? Viva l’estate, viva la scuola viva.
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