Ancora un giovane suicida in un contesto scolastico, ancora ispettori che a posteriori controlleranno la correttezza delle procedure, un docente forse inquisito per omissione.

Non siamo qui a giudicare la correttezza del comportamento dei responsabili dell’istituzione scolastica. In uno degli ultimi messaggi Leonardo avrebbe dichiarato di aver riferito le violenze subite dai compagni, ma di non essere stato ascoltato, ma non è di questo che si vuole parlare.



Questa volta il tragico episodio è accaduto nelle Marche, a Senigallia, una delle terre più belle del nostro Paese, con una buona qualità di vita, con un fenomeno migratorio abbastanza contenuto, con scuole di antica tradizione, con una particolare attenzione anche all’educazione motoria che, lo abbiamo osservato più volte, continua ad essere un’esperienza fondativa per socializzare e diventare grandi. La terra tra l’altro di Giacomo Leopardi, colui che fece delle radici dell’infelicità il centro del suo pensiero.



Tutto questo non è bastato. Se quello che è stato scritto corrisponde a verità, Leonardo, figlio di una donna dell’Est e di un italiano, un funzionario della Polizia municipale tra l’altro, coppia da tempo separata ma impegnata in un dialogo costante, sarebbe stato oggetto fin dai primi giorni di scuola (una scuola dove si era iscritto di recente) di pesanti insulti e forse di aggressioni apparentemente omofobe.

Il suo tentativo di fare pace sarebbe addirittura caduto nel vuoto e la pistola paterna ha rappresentato per lui lo strumento per liberarsi dall’incubo di incontrare di nuovo i suoi persecutori.



Chiniamo ancora una volta il nostro capo di fronte al mistero doloroso di un giovane sano, con alle spalle genitori responsabili, di una condizione socio-economica salda, che sceglie la morte invece della vita. Abbiamo letto tutti il testamento del giovane Sammy Basso, che in una condizione di sofferenza infinita ha dichiarato di amare la vita in quanto possibilità di esistere, di dare il proprio contributo al vivere civile, di amare ed essere amato. La scuola ha ancora il desiderio di essere un luogo in cui poter sperimentare questa ipotesi?

Chi decide di assumere il ruolo gravosissimo di dirigente scolastico ha nel cuore il desiderio di poter orientare tutta la comunità educante in una prospettiva di alleanze educative in cui Buono, Bello e Vero possano essere orizzonti del lavoro quotidiano? O pensa solo di poter gestire una burocrazia complessa con competenza ed onestà? Chi decide di diventare in-segnante (ma anche chi in ruoli diversi lavora nell’istituzione scolastica) ha ancora nel cuore il desiderio e l’energia di indicare ai giovani un’ipotesi che dia significato all’esistenza?

Se non è questo orizzonte di senso il motore dell’agire quotidiano degli operatori scolastici, non ci sarà norma o “riforma” capace di governare la crisi profondissima dell’io e delle relazioni tra giovani e adulti in cui la scuola (ma non solo) sembra precipitata.

È vero, come ha recentemente sottolineato Susanna Tamaro in un bell’articolo sul Corriere della Sera del 26 settembre, che le generazioni del Dopoguerra non hanno potuto godere di adulti sempre premurosi e attenti, che si cresceva per strada, a scuola, all’oratorio o al campo sportivo senza la presenza incombente degli adulti. Ma il contesto era totalmente differente: la fragilità dell’io e l’ansia di performance proveniente dagli adulti, creano uno iato educativo profondissimo che suscita una preoccupazione enorme.

Oggi più di prima è essenziale che gli adulti, soprattutto quelli che rivestono un ruolo professionale nell’istruzione, ritrovino il gusto di indicare un’ipotesi di vita in cui tutte le energie dei giovani siano mobilitate.

Il desiderio del cuore di un adolescente è potentissimo, ma proprio per questo fragilissimo.

Don Luigi Giussani aveva profeticamente anticipato la categoria di “rischio educativo”, aveva mobilitato generazioni di docenti perché Cultura e Carità fossero mete a cui il mondo giovanile potesse guardare, in un orizzonte di magnanimità, di respiro grande, capace di suscitare le domande intellettuali, morali ed affettive del giovane. Forse tutti noi, che alla scuola guardiamo con interesse e responsabilità, dovremmo di nuovo ripartire dalla sua ipotesi.

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