Volevo vedere il mio amico Giuseppe in questi giorni, ma dice che ha un sacco di cose da fare. Gli scrutini della scuola media però sono ancora lontani, non dovrebbe essere impegnatissimo. Ma lui mi aggiorna e mi dice che ormai lo spauracchio non sono più gli scrutini: finiti i tempi del film La scuola di Luchetti, dai libri di Starnone, con Silvio Orlando, la Galiena e Bentivoglio e il mitico professore Mortillaro asserragliati nella palestra della scuola per ore e ore, con le macchine pronte fuori e le valigie, con il buio che scende sopra decisioni e controdecisioni prese e ritirate, fino al fatidico rompete le righe.
No, dice Giuseppe, lo scrutinio ormai è cosa formale, virtuale, roba da trenta minuti. Vediamoci anche subito dopo lo scrutinio, mi dice: certa l’ora d’inizio, certa quella della fine, collegamenti internet permettendo. Insomma tutto è già stato deciso, gli insegnanti arrivano in classe e si mettono davanti al totem della Lim, dove appaiono già tutti i dati inseriti da tutti i colleghi. Si tratta semplicemente di confermare, controllare, flaggare, copiare e incollare. Ma ci pensa il coordinatore dal tavolo di manovra, gli altri assistono, annuiscono, gli occhi non si incrociano neanche. La firma finale, la ratifica e ciao scuola. Così, dice Giuseppe, si decide tutto nell’ultimo consiglio di classe prima dello scrutinio, lì si discute come una volta, si pesa, si valuta, insomma. Perché valutare, giudicare altro non è che pesare: i pro e i contro di un voto, di una scelta, di una promozione o di una bocciatura. E quindi, mi dice, sono questi i giorni più caldi, non quelli che verranno.
Ma allora la scuola è ancora la scuola, mi viene da pensare, e quel film non è così lontano come sembra. Dipende, dice lui: tra quelli che dicono che i voti sono automaticamente e matematicamente arrotondati per difetto o per eccesso, così che tutti i bimbi con 5,6 in tutte le materie possono automaticamente e matematicamente essere promossi senza alcuna discussione; tra tutti quelli che dicono che quello che conta è avere la media complessiva sufficiente, e dunque con tanti bei 4 in italiano, storia, geografia, scienze, inglese, matematica, spagnolo e con dei bei 7 o 8 nelle altre materie, ancora una volta matematicamente non c’è nemmeno da pensare all’eventuale bocciatura; tra quelli che brandiscono Pei, Pdp e altre malattie ormai endemiche; tra quelli che paventano circolari ministeriali, sentenze dei tribunali che non solo suggeriscono, anzi sembra che ordinino di non bocciare per esempio in prima media; insomma tra tutta questa cianfrusaglia, dice Giuseppe, risulta difficile pensare, giudicare, valutare. Pare che si misuri, che sia questo il dovere dell’insegnante: i 4 magari diventavano 6 anche nel film di Luchetti, ma c’erano fior di arringhe e psicodrammi a giustificarlo, oggi sembra che non serva.
Ma tutte quelle riflessioni su competenze e modi alternativi di valutare, in linea con le indicazioni europee, in linea con tutti i corsi di formazione a cui i professori partecipano da almeno un decennio? Giuseppe è molto sconsolato a questa domanda e mi racconta dell’ultimo consiglio in cui una sua collega avanzava le sue perplessità sulla vicenda: ma come, per le classi prime e seconde facciamo programmazioni di mesi, tabelle che sembrano lenzuola con obiettivi, metodi, strategie, tempi, competenze trasversali da raggiungere e poi tutto questo dove finisce, visto che una misera certificazione su queste competenze viene rilasciata solo in terza media e visto che su questo documento finale nulla compare? Dove le mettiamo tutte le nostre osservazioni e valutazioni?
In quel consiglio, come in quasi tutti i consigli, come nel film di Luchetti, qualche cinico professore sembra abbia suggerito, neanche tanto sottovoce, luoghi poco consoni dove riporre tutta la cianfrusaglia o paccottiglia programmatica di cui la professoressa premurosamente e teneramente ha ricordato l’esistenza.
Giuseppe mi confessa che un po’ avrebbe avuto voglia di unirsi a quel coro, ma è uomo d’altri tempi e educazione. Alla sua collega ha portato, qualche giorno dopo, in altro consiglio, la programmazione delle attività curricolari e delle attività interdisciplinari che aveva elaborato negli anni 80 e che tanto somigliavano a quello che oggi si fa su competenze e dintorni: uguale lenzuolo, uguale frenesia del dettaglio, si arrivava al punto di frazionare le ore, indicare cosa fa chi, scrivere nero su bianco che alle 8.20 il professore entra, poi apre il libro, poi dice, poi fa, e che nel giorno tal dei tali, all’ora tal dei tali, avrebbe finito l’attività.
Allora la parola d’ordine arrivava dalla docimologia americana, oggi dalla scassatissima barca europea, che fa acqua da tutte le parti, ma che bisognerà pur seguire in qualcosa, per esempio sulle competenze a scuola. Guarda con tenerezza la sua collega, il vecchio Giuseppe: di quella roba lì non c’è che quella traccia ingiallita, nemmeno un file perché i pc non esistevano ancora. Una grande moda, gli verrebbe da dire: mentre la scuola e gli insegnanti andavano affogando in quelle contorsioni verbali, la vita andava da un’altra parte.
Sembra oggi, gli dice Giuseppe. Guarda: mesi e mesi su programmazioni talvolta anche interessanti, e poi però la vita scivola via, oggi connessa e illanguidita dentro la Lim. Chi sono questi ragazzi, che cosa vogliamo davvero per loro, di cosa hanno davvero bisogno? E di che cosa hanno davvero bisogno i loro insegnanti? Giuseppe, nel giorno 28 maggio 2019, ha radunato gli alunni delle sue classi nel giardino della sua scuola, dopo ore passate a raccontare che cosa vedeva un ragazzo di Recanati da oltre la siepe che stava attaccata a casa sua, dopo ore passate a cercare di imparare a recitare insieme la sua poesia. Non era scritto in nessun programma, forse sarà stato per quello che qualche suo collega si è lamentato per il disturbo che quei 50 ragazzi hanno recato alla vita, quale? gridando anche, dopo il naufragio dolce nel mare di quella poesia, viva Leopardi, viva l’infinito.