Il mio amico Giovannino Guareschi, che altre volte ho citato con piacere su queste colonne, scrive che “è assai più faticoso educare un figlio, attrezzarlo per combattere validamente la lotta per la vita, che trattarlo fino a trent’anni come un bambino”. Correva l’anno 1968 (lo stesso della sua morte) ed è tutto dire. Trascorso mezzo secolo, è lecito chiedersi se quell’amara considerazione fosse esagerata e come siano andate, poi, le cose.



Sono reduce dagli ultimi esami di licenza media inferiore della mia vita professionale e credo di non esagerare nel ritenere che una qualche voce in capitolo ce l’ho. Lungi da me sostenere che “si stava meglio quando si stava peggio” o che, per dirla col grande Bartali, “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Professionalità, serietà, responsabilità, senso del dovere esistono ancora oggi sia di qua sia di là dalla cattedra (a volte anche per gli studenti meno dotati da madre natura).



Ma, ecco, una cosa mi è rimasta proprio sulla stomaco: l’arrendevolezza con cui la maggior parte degli insegnanti affronta qualsiasi diktat provenga da chi sta sopra di loro, che sia il ministro o il dirigente di turno. Nessun sussulto di dignità, nessun tentativo serio di opporsi a quella vera e propria pandemia burocratica che, riducendo la scuola ad azienda (mal governata), ha per unico scopo (dichiarato) quello di mettersi “al pari col resto d’Europa” quanto a percentuale di diplomati (ma lo stesso vale per i laureati).

Cumuli di schede, moduli, documenti, formulari, fogli prestampati, modelli da compilare, crocettare, completare, aggiornare, riempire, stipare di numeri, lettere, ics ciascuna delle quali corrisponde ad un livello di comprensione, competenza, apprendimento, capacità, interesse. Fino allo sfinimento, fino a chiedersi a che pro tutta questa massa di carte che nessuno, proprio nessuno, legge. Zitti i docenti (soprattutto se non coordinatori, ché su di loro grava la maggior parte del peso burocratico), zitti naturalmente i sindacati (sono anni che non si fanno più sentire: sicuri che servano ancora?). Dante ne avrebbe riempito il III Canto dell’Inferno, quello degli ignavi.



Anche nella scuola, però, vale la legge del mercato (intendetelo come volete): per aumentare la quantità di un bene bisogna quasi sempre diminuirne la qualità. Chessò: cent’anni fa una vacca produceva non più di 20 litri di latte a giorno, oggi gliene facciamo produrre due o tre volte di più grazie a mangimi e alimentazione forzata. Pensate che sia davvero lo stesso tipo di latte? Lo stesso vale per la scuola: davvero credete che i diplomi che oggi in tanti casi vengono letteralmente regalati fra medie inferiori e superiori (tutti conosciamo le percentuali di promossi, che accarezzano il 100 per 100) abbiano lo stesso valore anche solo di mezzo secolo fa? Che quel “pezzo di carta” con scritto Ragioniere o Geometra sia spendibile allo stesso modo del “pezzo di carta” dei nostri padri o nonni?

Ho ascoltato candidati che confondevano Illuminismo con illusionismo, ritenevano che Dante avesse scritto il Poema in “dialetto fiorentino” perché potesse essere letto “anche dagli analfabeti”, era convinto che il Congresso di Vienna fosse terminato con l’Unità d’Italia. E via di questo passo. Non parliamo di intessere un ragionamento, imbastire un dialogo degno di questo termine, come invece sostiene la normativa sempre pronta a cassare qualsiasi forma di nozionismo.

Colloqui degni di tale nome ce ne sono stati anche quest’anno, ma per pochi intimi. Colpa degli alunni? Anche, ma soprattutto di adulti che non vogliono farli crescere. La commissione d’esame tace e incassa, evita di porre domande per non mettere in difficoltà il candidato (i dirigenti fanno il diavolo a quattro se sentono aria di bocciatura) e passa al prossimo. Si mette una maschera, magari brontola e tutto finisce lì.

Ciò coincide col pensiero di GG: “Costa assai meno regalare al figlio (o allo studente, ndr) un patrimonio che insegnargli come si conquista e si amministra un patrimonio”. Zitti i genitori, zitti i docenti. Risultato: i promossi “sul serio” si fanno strada, magari con un po’ di fortuna che non guasta mai; gli altri stanno a guardare perché, poi, il mercato fa loro pagare il conto. Proprio come un secolo fa, prima che la scuola diventasse (giustamente) di massa, allargando la quantità a discapito della qualità. Come per le vacche da latte, ma con molto meno gusto.

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