Francesco De Sanctis nel 1856 pubblica la Prolusione, letta al corso di letteratura italiana presso l’Istituto Politecnico di Zurigo, dove ha insegnato dal 1856 al 1860. Nella prima lezione introduttiva, rivolta ai suoi allievi, disse: “Quali sono i vostri sogni? che cosa desiderate voi? Fare l’ingegnere? È giusto: ciò deve servire alla vostra vita materiale. Ma, e poi? Oltre la carne vi è in voi l’intelligenza, il cuore, la fantasia, che vogliono esser soddisfatte. Oltre l’ingegnere vi è in voi il cittadino, lo scienziato, l’artista […]. Prima di essere ingegneri voi siete uomini, e fate atto di uomo attendendo a quegli studi detti da’ nostri padri umane lettere, che educano il vostro cuore e nobilitano il vostro carattere”.
Ho sempre iniziato il corso di lingua e letteratura italiana, nel liceo scientifico in cui insegno, con la lettura di questo brano, perché credo non sia affatto scontato, né per gli studenti né per tanti docenti, quale sia lo scopo, quale l’utilità dello studio della nostra letteratura. Sempre meno si comprende, infatti, quale sia l’orizzonte di senso verso cui tende questa particolare disciplina. In un momento storico come quello in cui viviamo, caratterizzato dalle nuove tecnologie, dalle discipline STEM, dall’intelligenza artificiale che senso può avere la lettura di Omero, Virgilio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso e tanti altri scrittori? Quale può essere, oggi, la finalità di quello che i medievali chiamavano “accessus ad auctorem”, accesso alla lettura dei testi, all’ascolto dei loro suoni, delle loro parole? Prima di tentare una risposta a queste domande credo però che sia necessaria una premessa.
Nell’epoca delle chat, come l’ha definita A. Winer, nell’era di Messenger, di Facebook e Instagram, tra i ragazzi della generazione dei millennials è sempre più difficile comprendere cosa significhi incontrare, realizzare l’esperienza dell’incontro, stare davanti a qualcuno o a qualcosa di più grande. Negli occhi dei giovani studenti di oggi si legge chiaramente il bisogno di conoscere qualcuno che “con lieto volto” li metta dentro a “le secrete cose”; nonostante gli svariati likes e i numerosi followers, i ragazzi seduti ai loro banchi sono soli, hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a leggere la realtà, hanno bisogno di incontrare la realtà; in un certo senso, hanno bisogno di fare davvero lezione. Come ci ricorda Pavel Florenskij, la lezione “non è un tragitto su un tram che ci trascina avanti inesorabilmente su binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a piedi, una gita […]”. Occorre ricordare che è desiderio di tutti “camminare” per fare l’esperienza del mondo, per dare un nome e un significato a ciò che ci circonda. “Per chi passeggia – continua Florenskij – è importante camminare e non solo arrivare […]. Se gli interessa una pietra, un albero o una farfalla, si ferma per guardarli più da vicino, con più attenzione. […]”. È necessario, soprattutto oggi, non dare per scontato il desiderio di sapere perché siamo al mondo, da dove veniamo, dove andiamo, chi siamo! In una società di smemorati è importante fare memoria della nostra identità.
Questi desideri, che tante volte i nostri ragazzi nascondono e di cui hanno terribilmente paura, non sono in contrasto con la scuola, con la didattica, con gli insegnanti e con le discipline, né tantomeno entrano in conflitto con l’insegnamento della nostra cultura letteraria. La letteratura, prima di essere una disciplina, o peggio, un programma scolastico che gli studenti sono costretti a studiare in previsione di una verifica o dell’esame di Stato, è soprattutto un’arte; coincide con l’arte dell’incontro, perché coincide principalmente con la lettura di un altro: “[…] Leggere bene significa iniziare una relazione di reciprocità responsabile con il libro letto, lanciarsi in uno scambio totale […] leggere bene significa venir letti da ciò che leggiamo […]”, afferma George Steiner in Nessuna passione spenta.
Se esiste la lingua, l’arte la musica, se esiste da sempre un codice espressivo è perché esiste l’altro, che non ha tenuto per sé, ma ha voluto consegnare i suoi atti di comunicazione, i suoi tentativi di incontro, ad un’altra persona. D’altra parte la scrittrice statunitense Flannery O’Connor amava ripetere che “l’abilità di creare vita con le parole è essenzialmente un dono da elargire agli altri”. Gli scrittori hanno desiderato offrire le proprie domande, i personali drammi, la coscienza di loro stessi e del mondo, attraverso la creazione artistica. Quando il lettore – e in questo caso il docente e i suoi allievi – non rinuncia al proprio ruolo, leggere è sempre un incontro tra un essere vivente e un libro, e un incontro può essere decisivo per conoscere una parte inesplorata del proprio essere. La parola scritta, diversamente da quella dell’uso, è una parola che resta. Se sappiamo interrogarlo, se sappiamo chiedergli qualcosa che vale, un testo è pronto ad ascoltarci e a darci risposte.
È proprio vero che “L’esperienza della forma creata è un incontro tra due libertà”, come afferma sempre Steiner in Vere presenze. Se gli studenti potessero tornare a scoprire che dietro il codice espressivo, dentro l’involucro della parola all’interno della configurazione iconica dell’ordito poetico e narrativo si nasconde un uomo che generosamente dona la propria rivelazione, l’ora di letteratura si trasformerebbe in un’ora di bellezza, in un’occasione di incontro del vero “maestro”. Non si avrebbe tempo e voglia di guardare il proprio cellulare. Di fronte all’attrazione non c’è distrazione che regga! Per frenare la distrazione dei ragazzi, infatti, non occorrono tanto le regole, quanto l’attrattiva, il fascino, e gli studenti si lasciano attrarre quando sentono parlare delle loro profonde esigenze, quando qualcuno ricorda il valore delle loro domande, della loro umanità: “Nessun mezzo meccanico, per quanto rapido, nessun materialismo, per quanto trionfante, può cancellare il nuovo giorno che viviamo quando abbiamo compreso un maestro. Quella gioia non allevia certo la morte. Ma ci rende furiosi per il suo spreco. Non c’è tempo per un’altra lezione?”, afferma ancora Steiner in La lezione dei maestri. I nostri studenti sono desiderosi di scoprire che una disciplina scolastica parla del proprio cuore, dei propri sogni, di quella dimensione interiore che tante volte non è presa sul serio dalla loro cerchia di amici, da Facebook o Instagram e da tanti adulti. I nostri studenti hanno bisogno di assaporare qualcosa di umano dentro quello che leggono, perché, come affermava Marziale, nel libro X della sua raccolta di epigrammi, “Hominem pagina nostra sapit”.
Quando il lettore inizia il lavoro di confronto, quando avverte una corrispondenza eccezionale con la forma e il contenuto dell’opera che ha sotto gli occhi, comincia a pensare. Attraverso le pagine di un grande scrittore, si impara a riflettere in modo autonomo e creativo; infatti, “se il leggere finisce, comincia l’atto del dimenticare”, sosteneva Ezio Raimondi. Se lo studente e il docente diventano lettori, che con la “passione dell’artista e la pazienza dello scienziato” (Vladimir Nabokov) iniziano l’avventura del confronto e del dialogo con i testi della letteratura, si cominciano a leggere in profondità le parole e con umanità, perché la parola letteraria parla all’uomo. Chi insegna letteratura non può non aver fiducia nella forza delle parole e degli scrittori del passato, che se sappiamo farli parlare, possono rivelarci nel presente quello che il presente non ha ancora visto e capito. La letteratura insegna a pensare, a 360 gradi. Infatti, la O’Connor, da scrittrice, asserisce così: “Il compito che cerco di svolgere è, con il potere della parola scritta, farvi udire, farvi sentire: è, prima di tutto, farvi vedere. Questo, e nulla più; ed è tutto. Se riesco, troverete, a seconda dei vostri meriti, incoraggiamento, consolazione, paura, incanto, tutto quello che chiedete – e, forse, anche quel barlume di verità che avete scordato di chiedere”.
Occorre portare i giovani a comprendere che i contenuti della letteratura appartengono a loro e possono indurli a riflettere, a vedere più intensamente e ad avere il senso di sé stessi, insomma a conoscersi in profondità e a “sfidare le risorse della loro intelligenza” (G. Steiner). Nella società odierna, sempre più invasa dai social che rendono milioni di persone schiave della tecnologia; in un mondo in cui siamo sempre più attaccati al nostro smartphone, ai tablet, alla televisione o ad un computer; in una realtà in cui si azzerano sempre di più le relazioni umane e si dimentica chi si è, e non si impara più a pensare e a prendere sul serio le proprie esigenze, la letteratura non è soltanto utile, ma necessaria, non solo ai giovani, ma anche agli adulti. Essa permette di recuperare il livello di umanità che pian piano stiamo perdendo, permette di riscoprire il profondo valore che ognuno porta dentro e con cui possiamo guardare le circostanze in modo completamente diverso.
L’ora di letteratura a scuola, il tempo della lettura, l’ora di bellezza possono diventare finalmente l’occasione per imparare ad incontrare sé stessi, a conoscere la propria umanità, a scoprire l’uomo che si nasconde dentro il ruolo che i nostri giovani ricopriranno in futuro. Nessuno ha il diritto di privarsi della felicità della lettura e dell’incontro! La lettura genera un cambiamento e un miglioramento della persona, perciò “nobilita il nostro carattere”, come amava affermare De Sanctis e permette di lasciare un segno decisamente umano, e perciò unico e irripetibile, nella società.
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