Per capire come funziona la materia “storia” nella scuola bisognerebbe chiedersi come passano i contenuti dagli insegnanti agli studenti. Non essendo riconducibile al paradigma scientifico galileiano, per cui gli elementi trattati sono riproducibili mediante l’esperimento, di quale statuto può avvalersi la storia nel difficile dialogo tra le generazioni?



I modelli di insegnamento che si sono succeduti si possono ricondurre ad alcuni indirizzi piuttosto consolidati.

Ha prevalso anzitutto la storia assorbita dalla filosofia e perciò intesa crocianamente come esplicitazione di una teoria storiografica. In alternativa abbiamo avuto l’anti-storicismo, che ha annullato l’identità della storia nella microstoria, costituita da una somma di ricerche settoriali relative all’economia, alla demografia, ai mutamenti politici e culturali delle società in un certo arco di tempo. Si è poi affermata un’altra prospettiva, quella della storia globale, che agli eventi singoli e alle microstorie ha sostituito i processi, i quadri geo-storici, i lenti movimenti dei popoli e delle culture analizzati alla luce di durate temporali molto ampie.



Chiedersi quale sia ai nostri giorni il modello vincente è una domanda retorica perché la storia nella scuola non la fanno i modelli, bensì le case editrici che lanciano sul mercato testi scolastici che a mo’ di panini imbottiti contengono un po’ di tutto: il filo della narrazione socio-politica, le cartine, gli approfondimenti storiografici, gli esercizi, gli apparati grafici e fotografici.

Alla fine il testo di storia diventa un oggetto quasi impraticabile, scoraggia l’utente, si studia con difficoltà perché non se ne vede il bandolo che possa riportare la matassa ad una minima corrispondenza con chi se ne sta occupando.



La maggiore difficoltà che lo studente sperimenta è l’assenza di una prospettiva generale su cui costruire passo dopo passo le conoscenze e le competenze. Ciò non avviene nel caso delle altre discipline. Gli insegnamenti di tipo grammaticale e linguistico sono l’effetto di successive accumulazioni di un sapere coscientemente o incoscientemente fatto proprio nello studio. La stessa cosa si può dire degli insegnamenti matematici, fisici e scientifici. Non si procede se non si possiede la conoscenza anticipatamente maturata. Nell’insegnamento della storia ciò non avviene, non è ritenuto necessario. Il presente, ciò che si studia nel presente, è totalmente scollegato dal passato. Il passato non è una ragione sufficiente a spiegare la successione degli eventi. Tutto accade quasi casualmente, senza nesso, senza logica.

Si può ovviare in qualche modo a questo “disastro”? Forse sì. Se si riprende qualche vecchia e sempre valida idea della storia intesa come testimonianza. Il più tenace sostenitore della storia come testimonianza fu Marc Bloch, che identificò, come si sa, l’oggetto della storia non nel passato inteso come “tempo passato”, bensì nell’attenzione agli “uomini nel tempo”. Il tempo non è altro che lo sfondo, ma non è il fattore costitutivo della storia che è invece il fattore umano. Ne deriva, suggeriva circa un secolo fa Bloch (ma com’è ancora pregnante il suo messaggio!), la scoperta di una nuova intelligibilità costituita dalla categoria di “testimonianza”.

La testimonianza è la traccia del passato umano visibile e leggibile nel presente. Ancora, secondo la lezione significativa di Bloch, esistono tracce di diverso genere: scritte e non scritte. La sua preferenza andava a quelle non scritte, come segni del paesaggio, utensili, monete, immagini dipinte e scolpite, oggetti funerari, resti di abitazioni, ecc.

Fin qui Bloch, che è stato assimilato, discusso, criticato. Si potrebbe tuttavia approfondire questa impostazione deviando leggermente dalla linea indicata. Potremmo cioè intendere come testimonianze anche i sintomi che l’impatto di certi avvenimenti hanno o hanno avuto sulla forma delle società e sulle interrelazioni umane. Le società nella storia infatti si organizzano attorno ad eventi fondanti. La forma gerarchizzata della società medievale, per fare un esempio, è la testimonianza di un ordine finalizzato al riconoscimento di uno scopo trascendente che l’uomo riconosce come fonte della propria esistenza. Lo spezzettamento dell’unità medievale e l’affermarsi di società che si costituiscono autonomamente rispetto all’autorità religiosa è il sintomo di un altro avvenimento che spiazza il precedente e lo contrasta. Questo fenomeno si potrebbe denominare nascita dello Stato moderno, la cui sostanza risiede nel passaggio della fonte della sovranità dalla monarchia al popolo. Lo Stato moderno a sua volta ha attraversato vicende gloriose e tragiche e la sua crisi dipende dal fallimento dell’utopica promessa di una felicità secolarizzata. Il disagio contemporaneo, dopo la fine delle ideologie e della guerra fredda, è ancora una volta sintomo e testimonianza di nuovi avvenimenti che potrebbero essere descritti come l’eclisse dei desideri in un tempo di forte connessione delle singolarità. Sembra un paradosso, eppure la dis-connessione spiega la sfiducia nelle costruzioni politiche sovranazionali, si chiamino Onu, Europa oppure Sogno americano e la chiusura nei recinti del “sovranismo”.

In conclusione, ciò che per Bloch era il segno lasciato dagli uomini sulla pietra, nel campo coltivato in un certo modo, nella suppellettile, oggi è reinterpretabile come sintomo, indizio di un certo senso dell’esistenza. Esso appare testimoniato dalla forma assunta dalle società che si sono ricostruire dopo i disastri bellici del Novecento e dall’attuale crisi di quegli stessi legami, forse troppo normativi e troppo poco sostanziali. Non a caso si parla oggi di crisi della democrazia formale.

Si spalanca di fronte all’insegnante di storia, insomma, ancora una volta, il vasto campo della testimonianza che connette le varie dimensioni dell’avventura dell’umano nel tempo. Tuttavia occorre una condizione perché il messaggio che giunge dal passato sia colto nel presente. La testimonianza per essere recepita richiede la disponibilità di un interlocutore disposto a mettersi in gioco quando il passato più o meno recente lo convoca. La disposizione alla comprensione deriva dalla sensibilità con cui ci si paragona alla testimonianza, se ne fa motivo di arricchimento personale e di crescita complessiva del rapporto all’interno di una piccola comunità come la classe scolastica.

Anche il passato più lontano, apparentemente più arido o addirittura terrificante per gli orrori che ci presenta può essere attraversato, compreso anche se mai giustificato, a condizione che la narrazione storica comprenda la presenza del narratore, il suo immedesimarsi nelle vicende tratteggiate. Quasi che l’insegnante dicesse alla classe, come suggeriva la fortunata serie televisiva di una volta: io c’ero!