Tutta la più recente pedagogia è tesa al superamento della vituperata lezione frontale e non a torto. A tal fine sono state coniate una serie di definizioni, per lo più farcite di inglesismi, che insistono su approcci o tecniche particolari: circle time, cooperative learning, peer education, flipped classroom. Un termine invece allude genericamente a un atteggiamento aperto nei confronti degli studenti senza particolari indicazioni: la lezione dialogata, di cui vorrei provare a chiarire alcuni aspetti partendo dall’esperienza di un gruppo di docenti della scuola secondaria di primo grado.



Non appena ho iniziato ad insegnare ho incontrato e scoperto quest’approccio grazie ai miei primi colleghi. Li ho imitati nella loro prassi così differente da quanto avevo vissuto, anzi subìto da alunno, e ora non saprei fare altro che questo, seppure mai mi sia posto il problema di esplicitarne il metodo, fino a quando alcuni amici hanno deciso di mettere al centro della loro riflessione proprio la lezione dialogata (sarebbe forse più opportuno usare il plurale per la varietà di caratteristiche possibili in relazione ai protagonisti, alle materie e agli argomenti trattati).



Già alcuni anni fa avevo sentito utilizzare la categoria di lezione dialogata come strategia per risvegliare l’attenzione degli studenti nel momento iniziale dell’ora di lezione, attraverso domande che riprendessero i dati o i concetti trattati in precedenza. Una sorta di ripasso svolto con la partecipazione attiva degli studenti per ridestarne l’attenzione.

Pur essendo una pratica interessante mi pareva fosse radicalmente differente dall’esperienza che fino ad allora avevo vissuto. Per “lezione dialogata” intendevo e intendo un confronto tra gli studenti, il docente e l’argomento trattato attraverso la provocazione dei contenuti di quest’ultimo: un testo di un autore, una carta geografica, l’incrocio di dati statistici o i movimenti delle truppe in un contesto di guerra, eccetera.



Proverò di seguito a delineare alcuni esempi di lezione dialogata a partire da esperienze accadute in classe.

Il dialogo di fronte ad un argomento nuovo

Leggendo ad alta voce dall’Odissea il tenero incontro avvenuto nell’Ade tra Ulisse e la madre Anticlea, che l’eroe aveva lasciato ancora in vita in occasione della partenza per la guerra di Troia, lui le domanda come lei sia morta e chiede cosa sia del padre, del figlio, del regno e della moglie Penelope. La madre risponde a ognuna delle domande poste dal figlio in ordine inverso, svelando solo in conclusione la causa della propria morte e rivelando al figlio di essere deceduta per il dolore provocatole dalla lontananza di Ulisse. Allora l’eroe tenta di abbracciarla più volte senza riuscirci, perché nell’Ade le anime sono ombre e questo incrementa il dolore del protagonista.

La tematica del dolore trattata in questo passaggio risulta piuttosto astratta per ragazzini che non ne hanno esperienza diretta, fino a quando una di loro interviene dicendo: “È vero, mi è capitato quando litigo con mia mamma. È un male fisico che prende la pancia, la bocca dello stomaco, e che rimane anche dopo aver fatto pace, quando ci abbracciamo e piango lacrime pesanti”.

La classe si zittisce soggiogata dalla potenza della testimonianza di una di loro. Molti non colgono la profondità del confronto per mancanza di esperienza personale o della sensibilità necessaria, ma percepiscono comunque una verità che li sovrasta e che impone da sé silenzio e attenzione. Questo breve dialogo non è la risultante di una strategia tesa a ravvivare la lezione, ma un passaggio non scontato né previsto o prevedibile (ma certamente sperato) durante la preparazione della lezione. L’intervento della studentessa permette a tutti di scoprire una nuova sfaccettatura della realtà, di farla vivere dandole un nome, e questo avviene proprio attraverso la parola di un coetaneo, parola che il docente riprende e chiarisce dove e per quanto gli sia possibile.

La narrazione dell’alunna ha permesso di vivere la grande letteratura come strumento capace di “nominare” l’esperienza (dolorosa in questo caso) e i sentimenti umani appartenenti all’uomo di duemilacinquecento anni fa come dello studente del XXI secolo.

In geometria si propone ai ragazzi, analogamente alle figure poligonali più semplici, di scoprire la formula sintetica per l’area del trapezio. Si riepilogano dapprima le caratteristiche della figura disegnandola e chiedendo alla classe di identificarne le proprietà. Poi si invita a disegnare un trapezio scaleno scrivendone le misure di lati e altezza. Da qui parte la ricerca: c’è chi, sfruttando le formule precedentemente acquisite, arriva al calcolo dell’area sommando le aree del rettangolo e dei triangoli. L’insegnante però rilancia suggerendo di individuare una formula più sintetica. Alcuni provano, similmente a casi precedenti nel triangolo o nel rombo, a far ruotare i triangoli parziali del trapezio raddoppiandoli a fianco del rettangolo centrale, ma si arriva subito a un punto cieco perché il rettangolo complessivo non è riconducibile al trapezio. Finalmente a una ragazza viene da proporre la rotazione completa del trapezio attorno al punto medio di uno dei lati obliqui, cosa che dopo qualche discussione viene riconosciuta come valida perché produce un parallelogramma di area doppia rispetto al trapezio. L’ultima fatica è la scrittura della formula, perché bisogna riconoscere nella somma delle basi del trapezio la misura della base del parallelogramma. E infine, con la proposta di problemi in cui sia data l’area, si procede alla scrittura delle formule inverse sostenute da adeguata motivazione.

Cuvier, scienziato contrario all’idea di evoluzione che scopre nel mosasauro una specie estinta del tutto diversa da quelle esistenti, afferma che le faune sono state soggette ad improvvise estinzioni e a successive creazioni. Il dialogo tra docente e studenti mostra al primo che i ragazzi non colgono la differenza fra fossile e specie come le orche o i coccodrilli e, spiegando loro che si tratta di un rettile appartenente all’ordine sauri, come le lucertole (riconoscibile per il tipo di dentatura e di mandibola), accade che in un ragazzo sorga la domanda sul senso di questa comune appartenenza, cioè su quella che per Darwin sarà l’evidenza sistematica della discendenza evolutiva: se le lucertole come il varano e il mosasauro sono entrambi rettili sauri, è ragionevole ammettere un loro progenitore comune. Dunque la classe, guidata dalle domande del docente e grazie all’intuizione di un alunno, scopre attivamente un’obiezione alla concezione di Cuvier senza che essa fosse enunciata dalla cattedra come verità da ritenere a memoria.

Un approccio di questo genere richiede ai ragazzi una presenza viva ma anche adeguatamente preparata di fronte all’oggetto, col risultato di un maggiore approfondimento del programma (ovviamente nella valorizzazione di ogni livello di capacità) ma anche di una sua più rapida progressione.

(1 – continua)

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