Ci risiamo. Scuole chiuse. Cambiano i governi, destra, sinistra, centro, estreme, ma la musica è sempre la stessa: in Italia la scuola non è una priorità. Come sempre, i momenti e le situazioni di crisi sono anche momenti e situazioni chiarificatori. Cioè sono momenti in cui si afferma e si salva ciò che si ritiene essenziale e il resto passa in secondo piano quando non viene addirittura sacrificato. Bene, la pandemia ce lo ha certificato: la scuola non è una priorità. Però, sempre restando nell’ambito della scuola, la pandemia ha emesso anche un altro verdetto: le scuole paritarie sono quelle che meglio hanno affrontato e gestito la condizione di straordinaria difficoltà dovuta al virus.



Forti della propria autonomia gestionale, della capacità di assunzione di responsabilità dirette, della flessibilità di movimento e di organizzazione offerto da docenti e non docenti, forti anche di un rapporto di stima cordiale con le famiglie e più in generale con la trama di rapporti radicati in un territorio, hanno saputo individuare soluzioni efficaci al delicato problema dell’uso degli spazi, dei tempi, dei trasporti, della strumentazione relativa alla didattica a distanza, realizzata comunque con risultati positivi anche in termini di difesa e approfondimento dei rapporti personali.



Insomma, tutto questo si è visto. Si è visto in modo così chiaro che, forse per la prima volta o quantomeno con un chiaro soprassalto di consapevolezza, anche a livello ministeriale si è percepito quanto grave sarebbe la perdita di questa presenza (scuole paritarie) all’interno del sistema scolastico del nostro Paese. Di qui l’introduzione nei vari decreti di provvedimenti volti al sostegno delle scuole paritarie che in tempi normali non avrebbero avuto via libera.

La pandemia dunque, assieme a tanto dolore e tanto dissesto, ci consegna un chiaro messaggio. Anzi, un chiaro e duplice messaggio: la libertà di scelta è un bene prezioso da salvaguardare e l’autonomia gestionale è la chiave per puntare all’eccellenza del processo educativo. Libertà di scelta e autonomia: ecco le due parole chiave per far ripartire la scuola.



E non solo. Sappiamo che l’educazione è il fattore decisivo dello sviluppo, anche dello sviluppo economico. Quindi libertà di scelta e autonomia delle scuole sono le parole chiave per il rilancio del Paese. Sono parole sulle quali costruire iniziative e progetti che oggi trovano nel Next Generation Eu una concreta possibilità di realizzazione. A questo infatti deve servire il Fondo suddetto: investire in attività che creino sviluppo. E queste appunto lo sono. Anzi: persone autorevoli hanno detto e scritto che, senza una riforma della scuola che realizzi la libertà di scelta e l’autonomia gestionale, i soldi investiti nella scuola – e sul fatto di investire nella scuola c’è ampio consenso – saranno soldi buttati. Terribile.

Ora, per quanto riguarda la libertà di scelta, la questione è semplice: si tratta di azzerare la barriera economica che cancella la libertà di scelta delle famiglie verso le scuole paritarie. Lo strumento? Uno strumento analogo alla “dote scuola” della Regione Lombardia ovviamente esteso a tutto il territorio nazionale e incrementato così da coprire l’intera retta (la “dote scuola” copre il 20-30%) al di sotto di un limite ragionevole basato sul “costo standard” o sul “costo medio”.

Verrebbe così garantita una scelta libera, cioè appunto non condizionata da barriere economiche. A me sembra la forma migliore, che ha pure il pregio di evitare il finanziamento diretto alle scuole, che subito farebbe scattare il riflesso condizionato del “senza oneri”. Ovviamente, ci fossero modalità migliori, ben vengano, purché l’intenzione del meglio non finisca in litigio e si concluda col niente.

La spesa aggiuntiva non pare sproporzionata rispetto al fatto che verrebbe così sanato un problema enorme, superata un’odiosa discriminazione che dura da troppo tempo. Soprattutto scuole che godono di una certa autonomia (parola importante) verrebbero messe nella condizione di esprimere tutto il proprio grande potenziale, oggi soffocato dal condizionamento economico. Con un beneficio diretto e indiretto anche per l’intero sistema scolastico.

Ma fatto questo, che pure è un passo da gigante, abbiamo fatto ancora poco. Infatti abbiamo toccato una realtà importante ma che rappresenta meno del 10% del sistema scolastico nazionale. Il 90% è costituito da scuole gestite dallo Stato. Ed è appunto qui il problema. Non si tratta di cambiare il modo con cui lo Stato gestisce le scuole. Si tratta piuttosto del fatto che non sia lo Stato l’ente gestore delle scuole. Non intendo qui inoltrarmi nell’analisi e ricordare le ragioni per cui la gestione statalista, centralista, burocratica delle scuole impedisce di fatto il raggiungimento di risultati buoni in termini educativi o anche semplicemente in termini di livelli di apprendimento. Analisi e ragioni, del resto, espresse in centinaia di convegni, articoli, pubblicazioni da esperti e studiosi dei sistemi scolastici di diverse tradizioni culturali. Occorre ricordare per la milionesima volta quanto certificato (e implacabilmente da decenni) dalle classifiche Ocse-Pisa relativamente al posizionamento della scuola italiana? O i risultati dei test del Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) in cui nell’ultima rilevazione del 2020 la maggioranza del campione italiano si colloca al livello 2, nella scala che va da al di sotto del livello 1 al livello 5? Per “muovere la classifica”, come si direbbe in gergo calcistico, la parola chiave è: autonomia.

Ma, detto questo, ci si para davanti un problema quasi sovrumano: il problema costituito da un apparato che, a partire dal Miur e dai suoi collegamenti con altri ministeri e organi dello Stato governa, gestisce, organizza (tenta di…) decine di migliaia di scuole, oltre un milione di dipendenti e milioni di studenti e relative famiglie, dispersi su tutto il territorio nazionale, che presenta enormi differenziazioni ambientali, di tradizioni e sensibilità culturali, e socio-economiche. E non si tratta – lo ripeto – di riformare, cioè di cambiare, il modo con cui questo apparato deve gestire tutto questo. Si tratta, al contrario, di liberare le scuole dalla gestione faraonica dello Stato. Questo si deve fare.

Ma questo (quanto pesa questo “questo”) non può avvenire. Non immediatamente. Non totalmente. Gradualmente. Può iniziare. Deve iniziare. La riforma della scuola è necessaria. Una riforma che, a differenza di tutte (tantissime) quelle fatte finora, si proponga l’obiettivo di cambiare il ruolo dello Stato: governatore (nessuno vuole che autonomia si traduca in anarchia) e anche valutatore, ma non gestore. Una riforma che dia inizio a questo processo, un inizio coraggioso ma che non potrà essere di grande portata; che contenga però il principio della progressività, cioè il principio per cui lo spazio iniziale possa allargarsi, e allargarsi.

Ora, nel tanto parlare che si fa sulla scuola di questi tempi, non trovo traccia di un dibattito che abbia a tema una riforma che si muova nella direzione sopra indicata. È vero, a volte capita di sentire il richiamo all’autonomia. Ma è generico, quindi astratto. Occorre concretezza, cioè chiarezza della direzione e gradualità della proposta.

Ai tempi del Governo Renzi erano circolate proposte di sperimentazioni in questo senso ma nella cosiddetta riforma della “Buona Scuola” se ne erano perse le tracce .Si potrebbe ripartire da lì, con i dovuti aggiornamenti. Ci sono in Italia decine di associazioni animate da persone competenti, decine di think tank, centinaia di esperti (il ministro Bianchi è fra questi). Ci possiamo aspettare una proposta, o più di una, che poi possano convergere e diventare una proposta di riforma che finalmente affermi: autonomia e libertà di scelta. Su questa riforma mettiamo i soldi del Next Generation Eu. Forse non ne serviranno neppure tanti, ma saranno comunque spesi bene: “debito buono”.

E che questa riforma sia sostenuta da tutti. Soprattutto, e ci tengo a dirlo, dagli imprenditori, dagli esponenti del mondo economico, da quelle persone e da quei mondi più sensibili al tema dello sviluppo. Perché lo sviluppo viene dalla scuola. Purché assuma una forma adeguata (autonomia e libertà di scelta). Adeguata a non disperdere le risorse che verranno investite in essa: altrimenti, come notava argutamente un sociologo americano, ci si limiterà a dare al malato una dose maggiore di una medicina inefficace.    

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI